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La Nato confessa: in Afganistan c’è petrolio.

La Nato confessa: in Afganistan c’è petrolio.

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La NATO confessa: in Afganistan c'è petrolio.


 

Nazanín Armanian Público.es

Exxon Mobil, la maggiore petrolifera privata del mondo, studia di atterrare in Afghanistan e la canadese Terraseis, annuncia di aver trovato petrolio nella provincia di Faryab. Dall'occupazione del 2011, i paesi della NATO hanno perforato solo la zona di Amo Darya, 322 pozzi, dove si stima una presenza che va dai 500 milioni ai due miliardi di barili di crudo.

Sebbene la stampa occidentale  parli con euforia della scoperta repentina dell'Oro Nero afgano, slegandolo dalle motivazioni dell'invasione e dell'occupazione del paese, dal 1938 – quando i britannici costruirono le prime raffinerie in Iran e Arabia – si conoscevano i giacimenti petroliferi di Angut, nel nord dell'Afghanistan, che nel 1959 sono stati sfruttati dai sovietici, che costruirono anche il primo gasdotto del paese che terminava in Uzbekistan. Sino al 1966 erano stati perforati altri 60 pozzi nel sottosuolo di Herat e nell'Helmand. Negli anni 80, mentre gli Usa armavano i mercenari capeggiati da Bin Laden che venivano definiti "combattenti per la libertà", col fine di smantellare il governo socialista del dottor Naybloha, la Urss stava costruendo una raffineria capace di produrre un milione di tonnellate di gas all'anno.

 

Con il collasso dell'Unione Sovietica nel 1991, il principale obiettivo degli Stati Uniti è stato, oltre a impedire la ricostruzione dello spazio  post-sovietico sotto le ali di Mosca e la creazione di basi militari nella vicina Cina, Russia e Iran, la costruzione del gasdotto transafgano TAPI (Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan , India) dal Mar Caspio al Mar Arabico, col fine di condurvi il gas del Turkmenistan.


Con la sua "dottrina della sicurezza collettiva", la NATO non ha ottenuto nessuno dei suoi obiettivi prefissati , nonostante l'occupazione diretta del paese nel 2001 con il suo esercito affiancato da decina di migliaia di mercenari e contrattisti. Fiasco totale.

E' costato molto all'Alleanza – dopo aver perso circa 3.000 soldati e un costo di 6 miliardi di dollari al mese – rendersi conto di non poter controllare il paese. Poco serve l'informativa del Pentagono (2010) che colloca in un bilione di dollari il valore di alcune riserve petrolifere ancora non sfruttate in Afghanistan. Informativa interessante, sebbene sia stata poi l'impresa cinese CNPC a vincere il concorso di licitazione, firmando il maggior contratto energetico della storia dell'Afghanistan, per sfruttare i giacimenti di Amo Darya e la costruzione della prima raffineria del paese.


Il Congresso degli Stati Uniti gettava fumo. Dure critiche da parte del Pentagono per la sua incapacità di evitare il contratto e critiche anche ad Hamid Karzai per "slealtà". 


Tre mesi dopo la conferenza di Tokio sull'Afganistan (luglio 2012) e dell'accordo dei paesi della Nato sull'investimento di 16 miliardi di dollari in infrastrutture – impriscindibili per iniziare a sfruttare il petrolio afgano -, Pechino continuava a muovere le proprie pedine: per la prima volta in 50 anni, alti dirigenti del proprio governo hanno visitato l'Afganistan per consolidare la strategia di ricostruire la vecchia Rotta della Seta, creare una estesa rete di gasdotti con i paesi "stan", e così garantire la propria sicurezza energetica.


Nelle località che si trovano sotto il controllo dei talebani, i cinesi hanno ottenuto la loro collaborazione – previo pagamento a loro o al governo del Pakistan -, mentre contrattato manodopera, costruiscono cliniche, scuole, abitazioni, e portano acqua potabile ed elettricità nelle località interessate, presentandosi come l'imperialismo dal volto umano.

Altri tesori

Oltre l'Oro Nero, l'Afganistan possiede molto oro giallo e non come quei lingotti di oro giallo fatto di tungsteno che abbonda nella tesoreria degli Stati Uniti.
Di fatto, la compagnia finanziaria JP Morgan Chase ha firmato con Karzai, nel 2011, un accordo per il valore di 40 milioni di dollari, per ottenere una delle miniere di oro afgano. Chissà se Horst Kohler, l'ex vicepresidente tedesco, pensava a questo metallo quando nel 2010 suggerì che le truppe tedesche erano in Afganistan per proteggere l'economia tedesca. L'averlo detto gli costà l'incarico. Questo paese che in teoria possiede il secondo deposito di oro al mondo (3,4 tonnellate), solo possiede nelle proprie banche il 31% del proprio oro, giacchè sia gli Stati Uniti che l'Inghilterra continuano a rifiutarsi di consegnare i lingotti depositati presso di loro.


L'esistenza di tonnellate di oro, diamanti, smeraldi, rame, ferro, uranio e altri minerali (quali terre rare), a cui oggi vorrebbe conficcare i propri denti il Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS), già era stato documentato, da un secolo, dalle spedizioni coloniali russe e britanniche.


Più tardi sono stati i geologi sovietici coloro che hanno realizzato uno studio minuzioso sui tesori afgani, quantunque torni ad essere la Cina la potenza che ha portato a casa il contratto della miniera di rame di Aynak, la più grande del continente euroasiatico, e probabilmente la seconda riserva mondiale di rame dopo il Cile il cui valore ammonta a 404 miliardi di dollari. Una cinquantina di imprese cinesi già lavorano in questa miniera afgana. Anche le imprese indiane stanno rubando il mercato a competitor quali Turchia e Russia.


Troppi interessi in Afganistan perchè Stati Uniti e alleati abbandonino il paese, a meno che la pressione di Cina e Russia non gli tolga il respiro. 


Traduzione a cura del CeSPIn Puntocritico


 

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