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“Crescere si può: una terapia d’urto da 316 miliardi”

“Crescere si può: una terapia d’urto da 316 miliardi”

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Il piano della Confindustria tutto a carico dei lavoratori e dello stato (sociale)


Squinzi, presidente di Confindustria, ha presentato il piano del padronato per una crescita di almeno il 2% all’anno, creazione di 1.800.000 posti di lavoro, diminuzione di tre punti del carico fiscale, dal 45,1 al 42,1 % e un aumento reale per le famiglie che vivono di lavoro dipendenti pari a 3.980 euri.

Ci siamo subito chiesti se per caso Squinzi non fosse candidato in qualche lista o non si fosse trasformato in un Babbo Natale fuori tempo massimo, ma è bastato andare avanti nella lettura per scoprire l’arcano.

Il piano infatti prevede l’impiego complessivo di 316 miliardi di risorse pubbliche in cinque anni e avrà efficacia solo se “applicato nella sua interezza”.

E allora andiamo a vedere i suoi contenuti: si parte dal fatto che il presupposto essenziale per la sua riuscita sia la stabilità dei conti pubblici e un rapporto debito/PIL che entro il 2018 deve scendere ben oltre il 110% grazie a dismissioni, flessibilità del lavoro, apertura dei mercati.

Chissà se basteranno i già 50 miliardi annui di tagli alla spesa pubblica che il Governo Monti e l’Unione Europea pretendono in attuazione del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio – introdotto nella Costituzione e la cui legge di attuazione è stata votata  lo scorso  dicembre scorso da tutto il Parlamento, compresi i deputati di IDV e della Lega –  o dovremo aggiungerne degli altri?

Ma poiché ciò potrebbe non essere sufficiente, la Confindustria chiede la riscrittura del Titolo V della Costituzione in funzione di un nuovo assetto istituzionale e soprattutto per restringere lo spazio d’intervento dello Stato cui rimarrebbero solo le competenze di interesse nazionale! Oltre naturalmente al superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione dl numero dei parlamentari, l’abolizione delle province, l’accorpamento dei piccoli comuni.

Più immediatamente si chiede, oltre alla liquidazione alle imprese dei 48 miliardi di debiti delle amministrazioni pubbliche, un taglio dell’11% del costo del lavoro, l’abolizione dell’IRAP che grava sull’occupazione , la privatizzazione e la liberalizzazione di tutti i servizi pubblici l’effettiva concorrenza tra pubblico e privato nell’erogazione dei servizi sanitari. Proprio una bella faccia tosta alla luce dei disastri combinati dalla sanità privata, che hanno gravato pesantemente sui bilanci regionali e nonostante ciò hanno registrato clamorosi fallimenti e migliaia di licenziamenti. Vogliamo parlare del San Raffaele a Milano, del San Carlo di Nancy a Roma, delle cliniche private degli Angelucci, dei Ligresti dei Rotelli tanto per fare qualche esempio?

Ma la parte migliore spetta al capitolo dedicato alla produttività per la quale si pretende lo stanziamento di un miliardo all’anno per detassare il salario di produttività contrattato in azienda e, dulcis in fundo, una settimana all’anno di lavoro in più, pagata il doppio (bontà loro!), ma totalmente priva di contributi previdenziali e fiscali a carico delle aziende. Si tenta così di estorcere il consenso dei lavoratori con il ricatto del salario creando ulteriori divisioni nel mondo del lavoro, ma soprattutto aumentando lo sfruttamento di chi un lavoro lo ha, mentre non c’è nessuna certezza di investimenti privati o di piani concreti per l’occupazione.

Non mancano poi le richieste di sostegno alla ricerca privata e lo sblocco delle grandi opere.

Ma dove si andrebbero a prendere questi 316 miliardi che in 5 anni dovrebbero permettere la trasformazione dell’Italia?  Dall’aumento dell’IVA, e quindi dalle tasche dei cittadini che vedrebbero andare alle stelle i prezzi ancora più di ora, dalle dismissioni e privatizzazioni del patrimonio e dei servizi pubblici, dalla lotta all’evasione, ultimo escamotage per attrarre gli allocchi.

Gli investimenti privati? Dopo, dopo…

La verità è una sola: ancora una volta si vogliono depredare le risorse pubbliche, cercando di trarre profitto dal sociale e dall’ulteriore sfruttamento dei lavoratori, in nome di un futuro migliore per i giovani.

Ce lo avevano detto anche nel 1993, con l’avvio della politica dei redditi e della concertazione. Il cui risultato è stato che oggi il reddito reale procapite è tornato al livello del’86 mentre quello dei consumi al 1998.

A buon intenditor…


 

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USB

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