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Quante amnesie nella giornata della memoria…

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Quante amnesie nella Giornata della memoria…


  di Paola Staccioli

Nel 2000 è stata istituita la Giornata della memoria. Il 27 gennaio, anniversario della liberazione dei prigionieri sopravvissuti nel campo di sterminio di Auschwitz. Quante amnesie da allora l’hanno caratterizzata. Si è parlato di liberazione da parte degli Alleati, dimenticando che i cancelli sono stati abbattuti dai sovietici, dall’Armata Rossa. Si sono sottovalutati la forza della resistenza e il prezzo di sangue pagato dall’Unione sovietica per la vittoria. Si sono giustamente organizzate iniziative dedicate alla Shoah, ma nello stesso tempo si sono spesso dimenticati altri stermini. Il Porrajmos, la strage di Rom e Sinti nei lager nazisti. Quello dei “triangoli rosa”, ovvero gli omosessuali, e dei “triangoli rossi”, ovvero i detenuti politici. Antifascisti, comunisti, partigiani rinchiusi, torturati e assassinati nei campi di concentramento e nelle carceri fasciste e naziste. Si è sminuito il ruolo degli operai e dei comunisti nella Resistenza, si sono tentate periodiche equiparazioni fra i partigiani e i “ragazzi di Salò”, si è operata una strumentalizzazione delle foibe, con il Giorno del ricordo del 10 febbraio. Questo e altro si è detto e si dice. Rimuovendo talvolta anche il fatto che le stesse vittime degli “stermini dimenticati” tutt’oggi sono oggetto di pesanti discriminazioni.

In realtà di amnesia non si tratta. Ma di una falsificazione della storia volta a esorcizzare il fatto che il Novecento ha visto lo scontro tra due inconciliabili concezioni del mondo, dei rapporti sociali e di produzione. Da una parte, ideologie totalitarie, fondate sulla supremazia della razza e la prevaricazione dei più deboli, dall’altra i valori della solidarietà, dell’egualitarismo, della giustizia sociale, della liberazione dal lavoro salariato e dall’oppressione. L’obiettivo è proporre una ignobile equazione fra comunismo e nazismo, una pacificazione senza giustizia. In nome della condanna di tutte le violenze, di tutti i “totalitarismi”, si mettono sullo stesso piano percorsi umani e collettivi di oppressi e oppressori, carnefici e vittime.

Il Novecento non ci ha lasciato in eredità quel mondo liberato dalle ingiustizie e dalla mercificazione dei rapporti per il quale molte donne e uomini si sono battuti. Le ragioni ideali, ma anche oggettive, delle lotte di un tempo sono tuttora presenti nella materialità delle nostre vite. Le ricchezze sono sempre più concentrate nelle mani di pochi, la sopraffazione permea le relazioni internazionali, le guerre continuano a provocare devastazioni in nome di un presunto ordine mondiale, buona parte dell’umanità è depredata da un esiguo nucleo di potenze. Oggi come ieri, è quindi necessario un forte impegno per costruire un mondo migliore. Oggi come ieri, quei valori di giustizia, libertà, solidarietà che animarono molti antifascisti sono obiettivi da perseguire con determinazione. Contro ipotesi autoritarie mai sopite, di cui le rivisitazioni storiche sull’antifascismo e sulla Resistenza sono uno dei segnali, che dimostrano come sia impossibile e strumentale l’idea di una memoria condivisa. Se dunque un “revisionismo” è necessario, è sicuramente opposto a quello imperante. Una analisi che rifiuti visioni addomesticate e livellanti e ristabilisca, anche nei suoi tratti più aspri e “scomodi”, i reali connotati dei conflitti del Novecento, compresi quelli della seconda metà del secolo.

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