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RIAPRIAMO LE FABBRICHE – Il dibattito a Firenze

RIAPRIAMO LE FABBRICHE – Il dibattito a Firenze

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RIAPRIAMO LE FABBRICHE

documento convocatorio e dibattito dell'assemblea di Firenze


Continuiamo a Firenze il percorso iniziato a Grottaminarda

Assemblea

RIAPRIAMO LE FABBRICHE, CREIAMO POSTI DI LAVORO!
ESTENDIAMO IL CONFLITTO, COSTRUIAMO L’ALTERNATIVA!

Casa del Popolo S. Bartolo a Cintoia
Via di S. Bartolo a Cintoia 95

22 giugno 2013 – 14.00-19.00

 

Il sei aprile si è tenuta un'assemblea a Grottaminarda, in provincia di Avellino, promossa dal Comitato No Debito e dal Comitato di Resistenza Operaia, composto da operai della fabbrica Irisbus della Valle Ufita avviato alla chiusura ed allo smantellamento e dai cittadini schierati in loro difesa, mobilitati per riprendersi lo stabilimento e riavviare la produzione. L'iniziativa, in questo luogo simbolo di mille realtà diffuse nel paese, mirava a riprendere la riflessione necessaria ad elaborare soluzioni praticabili qui ed ora, dall’autogestione alla nazionalizzazione degli stabilimenti in dismissione, ad organizzare la lotta coordinata con le altre mobilitazioni in corso, a costruire una campagna nazionale che imponga all’ordine del giorno il lavoro.
L'assemblea è stata un successo, e l'obiettivo è stato raggiunto. Chi vi ha preso parte e chi l'ha seguita, ha avuto possibilità di CONQUISTARE FIDUCIA, la fiducia  che a Grottaminarda è iniziato un percorso capace di UNIFICARE veramente le migliaia di forme in cui si esprime la resistenza degli operai, di tutti i lavoratori, dei giovani, delle donne, di chi lotta per la difesa dell'ambiente, per la difesa dei beni comuni, della Costituzione, del patrimonio che ci ha lasciato la Resistenza, insomma di tutte le mobilitazioni in corso tra le masse popolari. Parliamo di qualcosa che si unifica non tanto e non solo per  resistere alla guerra sociale che la classe dominante conduce contro la classe operaia, tutti i lavoratori e le lavoratrici e tutte le masse popolari, ma di qualcosa che si unifica convergendo e avanzando nella costruzione di un nuova visione del mondo, di una nuova politica, di un nuovo modo di produrre nelle fabbriche, nelle città e nelle campagne, a partire da qui e da ora.
Mettiamo quindi in campo proposte, perché di fronte a questa crisi è necessario che i lavoratori prendano coscienza di essere in un momento in cui non è più possibile delegare ad altri il proprio futuro. Non è possibile delegare a una casta che fa parte ormai in maniera strutturale del sistema di potere e che, come la politica, mira prima di tutto a salvaguardare i propri interessi e i propri privilegi

Per rimettere in piedi e fare ripartire il nostro paese lavoro da fare ce n’è tanto e ce n’è per tutti. Riconoscerlo e mettere in atto misure per realizzarlo, elaborare un Piano del Lavoro per il paese, è solo questione di volontà politica. Senza lavoro, senza un salario non c’è progresso, né democrazia né dignità. E’ possibile far fronte a tutto ciò? E’ possibile riprenderci e conquistare ciò di cui abbiamo bisogno? E’ ormai palese che continuare a rivendicare ad un qualche governo emanazione dei poteri forti i nostri diritti non è sufficiente, da parte loro non c’è nessuna intenzione di soddisfare le nostre rivendicazioni.
E’ necessario costruire un’alternativa politica alla UE del debito, della guerra sociale, dei padroni e delle banche. E’ necessario qui ed ora connettere le lotte per iniziare a praticare le soluzioni ai nostri problemi, senza più deleghe né attendismi.

A partire dalle fabbriche e dai territori in lotta per la difesa dei diritti della maggioranza, dalla Val Susa alla classe operaia che non si è piegata a Pomigliano, Mirafiori, Melfi, Taranto, Termoli, dagli operai dell’ALCOA, dai lavoratori dell’Ikea al Comitato di Cittadini Liberi e Pensanti di Taranto, dagli operai che occupano le fabbriche minacciate di chiusura al movimento dei beni comuni fino ad arrivare al movimento studentesco, è necessario coordinare le azioni di lotta e confrontarsi per iniziare ad elaborare e sperimentare la messa in campo di possibili misure atte alla ripresa delle produzioni utili alla collettività o alla conversione di quelle dannose, salvaguardando i posti di lavoro, i diritti e le condizioni di vita dei territori, creando nuovi posti di lavoro.

Partiamo dalle battaglie condotte in questi giorni dai lavoratori e dalle lavoratrici dell’ospedale S. Raffaele di Milano e della Richard Ginori di Sesto Fiorentino, da quanto sono riusciti a conquistare con la volontà e la determinazione a non cedere, a combattere e vincere.
Invertiamo la tendenza imposta dai padroni a ridurre i salari e il numero dei lavoratori, per lavorare meno e lavorare tutti. Lottiamo per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e senza aumenti di produttività, per l’esproprio/nazionalizzazione sotto controllo collettivo delle aziende in crisi e che de localizzano.

A Firenze continuiamo il percorso iniziato a Grottaminarda,  per una seconda assemblea che terremo il 22 giugno (Casa del Popolo di S. Bartolo a Cintoia) e che mira a coinvolgere le realtà attive nella resistenza in Toscana, ma anche quelle dell'Emilia Romagna e delle altre regioni del nord Italia. Invitiamo a partecipare tutti coloro tra intellettuali, tecnici specialisti, rappresentanti istituzionali progressisti che a vario titolo possono o dicono di voler dare un contributo alla rinascita del paese

Questa di Firenze è una ulteriore tappa della strada che deve portarci a Montecitorio, per affermare con forza in modo che tutti sappiano che solo il lavoro può essere lo strumento per rilanciare l'economia e per fare uscire il paese dalla situazione fallimentare e drammatica in cui versa, per assediare questo governo infame fino a cacciarlo e imporre le nostre soluzioni alla crisi!
Il futuro dipende da ciascuno di noi!

Cobas Richard Ginori di Sesto Fiorentino
Comitato di Resistenza Operaia IRISBUS di Avellino
Comitato Nazionale NoDebito


Comitato Promotore dell’ Assemblea di Firenze del 22 giugno “Riapriamo le fabbriche, creiamo posti di lavoro! Estendiamo il conflitto, costruiamo l’alternativa!”
Firenze, 18 luglio 2013

Alcuni interventi

A conclusione dell’Assemblea di Firenze del 22 giugno abbiamo richiesto a chi è intervenuto di farci avere copia dei loro interventi. Abbiamo così raccolto, e riportiamo di seguito, gli interventi di

G. Nencini, Cobas Richard – Ginori, Sesto Fiorentino, per il Comitato Promotore dell’Assemblea
Tonino Abruzzese –  Irisbus, Grottaminarda
Velio Arezzini, SOS Geotermia, Monte Amiata
Argentino Tellini, del coordinamento lavoratori e disoccupati sardi
Massimo Bani, Terra Bene Comune, Firenze
Marco Spezia, redazione di Know Your Rights
Comitato di sostegno ai lavoratori Indesit Aversa Teverola
Laboratorio delle disobbedienze Rebeldia – Ex Colorificio Occupato, Pisa
Valerio Evangelisti, scrittore, Bologna
Leonardo Mazzei, Movimento Popolare di Liberazione
Piattaforma Comunista
No TAV Torino e cintura
Alessandro Nannini, Cobas ATAF Firenze
Paola Sabatini, CUB sanità Firenze


Intervento introduttivo, letto da G. Nencini, Cobas Richard – Ginori, per il comitato promotore dell’assemblea

All’assemblea di Grottaminarda è stato detto forte e chiaro: è necessario, ora più che mai, che i lavoratori riprendano in mano il proprio destino. Lo devono fare di fronte a questa crisi che distrugge il lavoro, che crea disoccupazione e povertà, che devasta il tessuto produttivo del nostro paese e di conseguenza destruttura tutta la società, una crisi che sembra non avere fine e a cui si risponde con governi senza nessuna legittimità democratica nati con l’unico obbiettivo di continuare a salvaguardare gli interessi dei poteri economici e se stessi.

Lo devono fare perché siamo in presenza di un sindacato confederale che da anni ha rinunciato ad essere anche lontanamente conflittuale e che addirittura ora si configura come pezza di appoggio e conseguente a quelle logiche, esclusivamente interessato a salvaguardare la propria esistenza e permanenza nel sistema di potere di cui ormai strutturalmente fa parte. Né è la prova il patto sulla rappresentanza che CGIL CISL e UIL hanno firmato recentemente con Confindustria, un accordo che rappresenta una regressione gravissima sul piano della democrazia, costruito per impedire rappresentanze altre e che arriva persino a rendere solo “auspicabile” la consultazione dei lavoratori sulle cose che li riguardano direttamente e a  negare il sacrosanto diritto allo sciopero.

Sindacati governo e Confindustria si riconoscono e si legittimano a vicenda asserragliandosi in un fortino impermeabile e sordo alle esigenze dei lavoratori. E non è un caso quindi  che l’Italia sia l’unico paese nel Mediterraneo, in Europa, che subisce l’effetti della crisi senza che vi sia traccia di un sussulto popolare, di una protesta dei ceti che più degli altri vivono sulla propria pelle la drammaticità della crisi.

Ora più che mai dicevamo, è necessario che i lavoratori riprendano in mano il proprio futuro e, senza deleghe, provino loro stessi a elaborare una proposta alternativa che sia in grado di determinare una rottura con gli schemi che ci vengono continuamente proposti, per contrastare l’attacco che porta alla chiusura delle fabbriche, alla cassa integrazione, alla crescente disoccupazione e povertà.

A Grottaminarda il 6 aprile è stato compiuto un primo passo in questa direzione. I lavoratori di tante aziende, ma non solo, anche comitati in difesa dell’ambiente, del bene comune, disoccupati, studenti, perché tutto è collegato e la crisi, ma soprattutto le politiche messe in atto tutte tese a salvaguardare il sistema economico, questo governo ha già regalato decine di miliardi a banche e industriali sottraendo risorse al paese, colpiscono ogni settore della società, tutte queste realtà che resistono si sono ritrovate per portare a conoscenza degli altri le proprie esperienze di lotta e di resistenza. Si è costruito così un sistema di relazioni dal basso che ha avuto come effetto la possibilità di realizzare questa seconda assemblea a Firenze e quindi il proseguo di quel percorso. Pensiamo sia un passo importante perché mettere in relazione le varie esperienze vuol dire cominciare a parlare lo stesso linguaggio, vuol dire cominciare a organizzarci concretamente per provare a difendersi da chi vuole, alle volte anche con la scusa delle crisi, abbattere diritti e tutele, limitare gli spazi di democrazia, rispondere a chi ha tutto l’interesse invece a tenere separati i lavoratori.
Vuol dire proporre le stesse rivendicazioni valide per tutti, vuol dire organizzarci per difenderci dalla “lotta di classe al contrario”, quella lotta che i “padroni” non hanno mai dismesso verso di noi, nonostante le finzioni di parole apparentemente amiche utilizzate dai vari Della Valle, dai vari Montezemolo e infine addirittura dai vari Squinzi che cercano di sembrare “padroni amici” parlando di “baratro”, di nuovi investimenti e sgravi per continuare ad arricchire sempre e solo gli stessi padroni che in questi anni non hanno perso nulla del proprio profitto, nulla del proprio denaro e che invece ci vogliono far credere di avere il nostro stesso destino in nome del quale chiedono nuove politiche per il lavoro ma non certo per il lavoratori.

Uscire dall’isolamento, mettersi insieme, discutere sulle modalità di coordinamento delle lotte oggi è una NECESSITA’. Crediamo infatti che sia lacerante e fallimentare ritenere che si possa continuare con l’attuale dispersione: ricucire le varie realtà dev’essere il primo passo per uscire dall’isolamento e rilanciare il nostro sguardo verso fattibili ed efficaci iniziative più generali.

Diventa quindi necessario fare un passo avanti. E’ indispensabile provare a costruire delle proposte alternative,  mettere in campo le nostre idee per contrastare quelle ricette con cui si vuole affrontare la crisi ma che nascondono solo un maggiore sfruttamento dei lavoratori. E’ storia, dalle crisi i padroni né sanno uscire solo così.

A Grottaminarda abbiamo cominciato a discutere di tanti temi, che ora necessitano di un approfondimento. Abbiamo  parlarlato delle pratiche di autogestione delle fabbriche. Utopia? Direi di no. Abbiamo ascoltato le esperienze di chi l’ha fatto, prima tra tutti la Ri.Ma.Flow di Trezzano sul Naviglio Ma gli esempi di lavoratori che si sono organizzati in cooperative per proseguire l’attivita o per riconvertirla sono tanti più di quanti si possa pensare. Organizzando questa assemblea ne abbiamo scoperti di nuovi, anche vicino a noi, nel Mugello, nella Val d’Elsa. Si può fare. Là dove ci sono le condizioni  si può tentare. Si deve tentare perche questa pratica può essere una delle modalità per rispondere al modello di gestione delle crisi che fino ad oggi si è dimostrato assolutamente fallimentare. Fallimentare per i lavoratori ovviamente.  Molti di noi hanno ben presente come si sono gestite le crisi nella nostra regione: si conclama la crisi dell’azienda, la chiusura, i sindacati che come dei becchini la certificano e si limitano al rastrellamento degli ammortizzatori sociali, le istituzioni che entrano in campo per trovare un acquirente che spesso invece di un imprenditore si dimostra solo un  prenditore, interessato solo alla speculazione o peggio ancora al furto, vedi ex Elettrolux o Mabro di Grosseto. Tutte uguali, tutte con lo stesso tragico epilogo, lavoratori licenziati e senza prospettive.

  Ebbene ci deve essere una strada diversa, quella dell’autogestione può essere una. E qualcosa si sta muovendo, a conferma che evidentemente il tema delle autogestioni non può essere relegato ad un’idea impraticabile e frutto della fantasia di qualche romantico sognatore se per esempio il Movimento Cinque Stelle ha presentato una modifica alla legge fallimentare che prevede nel percorso fallimentare di una azienda anche questo sbocco, una modifica alla legge che facilita questa possibilità. Anche in Regione Toscana c’è stato un dibattito, su iniziativa di alcune forze politiche,  per tentare di cambiare l’atteggiamento delle Istituzioni di fronte alle crisi delle aziende. Perché non pensare a sostenere i tentativi di autogestione, nella fase di start up per esempio, o fornendo strumenti come   conoscenze o i tecnici che possano aiutare i lavoratori ad avviare la produzione. In questo contesto così drammatico prima che un’azienda chiuda e si perdano posti di lavoro è necessario provare qualsiasi strada, anche perché quelle sperimentate ad oggi, ormai è accertato, si sono dimostrate appunto tutte dei fallimenti. L’autogestione, ma anche il tema della nazionalizzazione laddove si dismettono i settori più strategici e indispensabili per un paese  anche come risposta ai processi di delocalizzazione delle produzioni, perché quando si delocalizza non è che non ci sia più il lavoro, si decide semplicemente di  farlo da un’altra parte per aumentare o lasciare inalterati i profitti.

All’assemblea del 6 aprile  è stato affrontato anche il tema della riduzione della giornata di lavoro a parità di salario, l’unico in grado di unificare chi è ancora dentro ai processi produttivi con chi né sta uscendo o né è già uscito e con la massa crescente di disoccupati.

E ancora il contrasto alle leggi che hanno reso strutturale la precarietà, e contro quelle che si faranno che, con la scusa  della semplificazione per rilanciare l’economia, nascondono ancora un abbassamento dei diritti e delle tutele dei lavoratori. Si sta già parlando di semplificare le norme in materia di tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro in un panorama dove l’infortuni e le morti sul lavoro continuano ad essere una piaga vergognosa per il paese e non accennano a diminuire, e se le statistiche affermano il contrario è solo perchè sempre meno persone sono occupate. Questa crisi ha portato via con se un milione e mezzo di posti di lavoro.

I temi che possono essere discussi sono tanti quindi, e vanno affrontati con il coraggio e la determinazione di chi vuol provare a cambiare davvero lo stato delle cose. Abbiamo pensato quindi a questa assemblea come ad un momento nel quale, più che parlare delle singole realtà, si cominci finalmente a fare un discorso più vasto, a considerare i modi e i tempi con cui dare anima e corpo agli obiettivi che ci proponiamo e che non potranno essere definiti che con un confronto ampio, senza paure, senza precostituite difese di parte. Non abbiamo da difendere ‘particolarità’: dobbiamo, al contrario, superarle, certo facendo tesoro delle esperienze che sono state fatte, ma nella consapevolezza che nessuna parzialità sarà in grado di scalfire gli equilibri che oggi ci vedono sopraffatti.

Coraggio e determinazione dicevo. Io sono un lavoratore e un delegato sindacale della Richard Ginori e penso che questi due elementi siano stati messi ampiamente in campo dai lavoratori in un anno di vertenza. Penso che i lavoratori della Richard Ginori abbiano dimostrato che con il conflitto, quindi uscendo da quelle logiche e dai quei modelli sindacali di gestione delle crisi, prendendo in mano appunto il proprio destino, senza delegarlo a nessuno, sia possible ottenere risultati che non si possono declinare in una vittoria ma che hanno rappresentato comunque la salvezza dell’attività e della maggioranza dei posti di lavoro.

E hanno condotto questa lotta in completa solitudine, per scelta, perché sapevano che per salvarsi era necessario uscire da quelle logiche, dai soliti riti sindacali, sottrarsi ai teatrini degli incontri presso le istituzioni, provando a trovare nuove forme di lotta per attrarre solidarietà, gestire in autonomia la loro battaglia perché solo così era possibile perseguire il proprio esclusivo interesse: quello del LAVORO.

Lo hanno fatto fin dal primo momento rifiutandosi di condividere con tutti gli altri, sindacati, politica, istituzioni, la novella che raccontava l’azienda che la crisi di Richard Ginori fosse determinata dalla mancanza di credito causata dalla crisi e dalle difficoltà economiche generali. Denunciando invece che la proprietà aveva fatto morire la fabbrica perché non aveva come obbiettivo l’attività ma casomai la speculazione che poteva effettuare sulle aree dello stabilimento. Per inciso il proprietario era Roberto Villa e ora è indagato per la banda del 5% del Monte dei Paschi di Siena. Istituzioni, e i sindacati  lo hanno sostenuto fino a quando la misura della decenza non è stata colma.

E hanno combattuto da soli la propria lotta riuscendo a orientare la scelta dei liquidatori verso un imprenditore con un piano industriale serio e di prospettiva quando tutti premevano per vendere l’azienda a un imprenditore con forti legami economici e politici, che non solo voleva licenziare 2/3 dei lavoratori ma aveva in progetto poi di delocalizzare tutta la produzione in Germania,.

Ma non è stato sufficiente, perché i poteri forti si sono riorganizzati e con una sentenza del tribunale di Firenze che ancora oggi risulta incomprensibile, nonostante la fabbrica fosse già venduta e pronta a ripartire con le migliori prospettive, Richard Ginori è stata dichiarata fallita.

Ma i lavoratori hanno risposto con un’occupazione e poi con un presidio che è arrivato da gennaio fino a questi giorni, determinando con la loro lotta che nessuno si dovesse sottrarre alla responsabilità sociale di salvaguardare il lavoro e l’occupazione.

Nonostante il forte condizionamento con cui si è svolta la trattativa con la nuova proprietà, che aveva fatto al Tribunale un’offerta prendere o lasciare, 230 lavoratori e 71 esuberi e del condizionamento del tribunale stesso che con una intromissione gravissima lasciava intendere che se non si fosse raggiunto un accordo sindacale con questi presupposti, accordo a cui era stata subordinata tutta l’operazione,  non avrebbe più venduto la fabbrica nella sua interezza ma l’avrebbe spezzettata, è stato raggiunto un accordo che ha avuto come elemento di valore che alla fine i lavoratori in esubero fossero ricollocati con contratti a tempo indeterminato.

E anche se sono state offerte ricollocazioni in cooperative di servizi, con tutti i limiti che questo tipo di lavori hanno in termini di condizioni, di retribuzioni e orari di lavoro, e per questo dicevo che non si può parlare di vittoria perché comunque c’è una sofferenza per quei lavoratori che hanno dovuto lasciare la Richard Ginori, comunque nessuno è rimasto a casa.

Io penso che questo risultato sia stato raggiunto perché i lavoratori hanno messo in campo quel tipo di lotta, uscendo dagli schemi, perché hanno praticato il conflitto, quello vero, quello verso il sistema che ci viene imposto.


Tonino Abruzzese –  Irisbus, Grottaminarda

L’assemblea di Firenze del 22 giugno e la necessità di unificare il movimento di lotta

Questa assemblea è la seconda tappa del percorso iniziato con l’assemblea di Grottaminarda e finalizzato a collegare le tante realtà in lotta che permangono nell’isolamento o lo rischiano, in un momento nel quale l’attacco capitalistico contro la classe operaia si caratterizza non solo per la forza con cui vengono colpiti i posti di lavoro e le nostre condizioni di vita, ma anche per l’assoluta chiusura del quadro politico e sindacale intorno alla difesa degli interessi del capitale, predicata sotto varie forme ma con l’unico scopo di inculcare l’impossibilità di uscire dalla crisi senza le medicine proposte da governanti, politicanti, finanzieri e industriali di turno.
Questi tratti dell’attuale situazione devono essere ben presenti come punto di partenza del nostro essere qui. Di questo dobbiamo essere ben consapevoli: ci raccontano che la crisi colpisce tutti e che per uscirne si devono applicare politiche tutte interne ai meccanismi che hanno portato alla crisi: secondo questi signori solo i nostri sacrifici possono poi -chissà quando e chissà come- far uscire da un tunnel di cui però nessuno conosce la lunghezza. Fatto sta che nell’ultimo quindicennio è avvenuto uno spostamento senza precedenti di ricchezza dai salari ai profitti e ai forzieri dei banchieri; fatto sta che l’attacco a cui siamo sottoposti sta determinando una massa di disoccupati senza precedenti, ben oltre le già altissime cifre che forniscono le fonti ufficiali. Fatto sta che questo attacco sta frantumando la nostra classe in tanti settori separati, con una divisione alimentata ad arte fra occupati e cassintegrati, precari e disoccupati, con la creazione di mille modi diversi di vivere un’esistenza sempre più lontana da un minimo di stabilità.
Eppure, mai come oggi si sbandiera, da parte delle sirene dell’informazione e dei partiti, la fine della lotta di classe, che sarebbe ormai un ferrovecchio da consegnare al passato, sostituendola con la necessaria ‘collaborazione’, con la sottomissione ad ogni esigenza del ciclo produttivo, fino a ritrovarsi senza lavoro e in questo caso esperti economisti giornalisti sono lì a piangere lacrime di coccodrillo e a chiedersi quando finirà e cosa mai fare. Eppure, in questo mondo dove sarebbe tramontata la lotta di classe, MAI COME IN PASSATO il capitale scatena la SUA lotta di classe contro i lavoratori, e questo lo sappiamo non perché ce lo dicono gli esperti, ma perché lo paghiamo e lo scontiamo sulla nostra pelle.
Questo attacco conta su molti punti di forza. Oltre che sul quadro politico e buona parte di quello sindacale, oltre che sull’informazione, che martella sempre e solo in un’unica direzione, oltre che sull’uso intimidatorio e preventivo dell’apparato repressivo, conta anche su un contesto nel quale le varie realtà in lotta, nelle fabbriche e nel territorio, si caratterizzano per il loro isolamento, che rischia di affogare o affoga qualsiasi tentativo di resistere, mentre è facile che in questa situazione si faccia strada uno scoramento che porti ad abbandonare il piano della lotta per rovesciare, o almeno contrastare, l’attacco capitalistico in atto.
In questo scenario, la possibilità di incontrarci, di discutere sulla situazione, sulle modalità con cui lottare, sul necessario coordinamento da dare alle realtà in lotta, diventa NECESSITA’. E’ riduttivo e fallimentare ritenere che si possa continuare con l’attuale dispersione, pensare di risolvere o contrastare rimanendo nel proprio orticello, limitandosi alla difesa a spada tratta della propria esperienza di lotta, difesa questa che è sacrosanta, ma che non può e non deve bastare, perché è necessario andare oltre, ricucire le varie realtà, collegarle: dev’essere questo il primo passo per cominciare a emergere dal tunnel dell’isolamento verso fattibili ed efficaci iniziative generali. Non dobbiamo temere le diversità che pure sussistono tra di noi, né porre pregiudiziali dinanzi a questa prospettiva, nella consapevolezza che l’orizzonte nazionale, già così difficile da perseguire, è esso stesso insufficiente se non si pone come momento di orizzonti più vasti, internazionali.
Dalle esperienze singole di lotta al loro collegamento è il primo passo. Ma collegare IN VISTA DI CHE COSA?
-di un coordinamento che renda sempre più ampio e solido l’insieme delle lotte e delle esperienze;
-di iniziative generali che UNIFICHINO non solo le tante realtà, ma che potenzialmente siano in grado di raggiungere tutte quelle ‘aree’ in cui l’attacco capitalistico ha frantumato la nostra classe: senza questo perseguimento e senza questa tensione in avanti non ci sarà modo di far sì che la nostra diventi una lotta efficace.
Contrastare l’attacco che comporta licenziamenti, cassa integrazione, crescente disoccupazione, significa cominciare a proporre con forza l’obiettivo della riduzione della giornata di lavoro a parità di salario, l’unico in grado di unificare chi è ancora dentro ai processi produttivi con chi ne sta uscendo o ne è già uscito e con la massa crescente di disoccupati ‘ufficiali’ e disoccupati senza speranza.
Così come è necessario costruire obiettivi che contrastino i processi di delocalizzazione della produzione, partendo dalle pratiche di autogestione e passando alla parola d’ordine della nazionalizzazione, nei casi in cui si intenda chiudere e mettere sul lastrico i lavoratori.
Non troveremo partiti e forse neppure sindacati che appoggino conseguentemente questi obiettivi: perseguirli è un compito che spetta a noi e per ora si concretizza nella presa di contatto, nella creazione di un coordinamento che deve essere sempre più grande e in grado di costruire la prospettiva passo dopo passo, senza che ci si lasci più infinocchiare dai discorsetti del politicantume.
Allo stesso tempo, è essenziale prendere contatti quanto più possibile con realtà che si muovono nell’orizzonte internazionale: l’attacco capitalistico si muove oltre ogni confine; dobbiamo imparare anche noi a collegarci su piani sempre più vasti.
Pensiamo all’assemblea fiorentina come a un momento nel quale, oltre che parlare delle singole realtà, si cominci finalmente a fare il discorso più vasto a cui accennavamo, a considerare i modi e i tempi con cui dare anima e corpo agli obiettivi che ci proponiamo e che non potranno essere definiti che con un confronto ampio, senza paure, senza precostituite difese di parte. Non abbiamo da difendere ‘particolarità’: dobbiamo, al contrario, superarle, certo facendo tesoro delle esperienze che sono state fatte, ma nella consapevolezza che nessuna parzialità sarà in grado di scalfire gli equilibri che oggi ci vedono sopraffatti.
E’ per questi motivi che invitiamo tutte le realtà in lotta e quanti sentono l’urgenza di superare il momento attuale, che sembra avere poche vie di uscita, a partecipare, a dire la loro sui temi del coordinamento delle lotte e degli obiettivi che si devono proporre: obiettivi, ripetiamo, che siano in grado di unificare, di far compiere un passo avanti alle tante esperienze di lotta che rischiano di rimanere confinate nel ‘locale’, disperdendo, peraltro, un patrimonio di forze che, invece, è necessario rinsaldare.


 

Velio Arezzini, SOS Geotermia, Monte Amiata

Sono Velio Arezzini, membro di SOS geotermia dell’Amiata. L’Amiata è un antico vulcano, una montagna alta 1735 metri che è stata, per quasi cento anni, fino al 1976, anno di chiusura, fra le più importanti miniere di mercurio del mondo, con una occupazione fino a 2000 minatori. Una zona che ha visto una classe operaia forte, uno scontro di classe forte, conosciuto a livello nazionale, al pari delle lotte della Fiat negli anni 60’-70’, contro la società mercurifera prima privata e poi pubblica. Una lotta per i diritti dei lavoratori contro le società padronali proprietarie delle miniere.
Ora, dopo la chiusura delle miniere, l’Enel ha scoperto la ricchezza dei giacimenti geotermici dell’Amiata e vuole perpetrare una politica di sfruttamento e di rapina del nostro territorio, come le vecchie società mercurifere, per il solo profitto e interesse. Una multinazionale, l’Enel, che sta distruggendo il nostro territorio, il nostro ambiente, le nostre risorse naturali, in particolare le nostre acque.
Abbiamo aderito a questa assemblea come SOS geotermia, coordinamento dei movimenti dell’Amiata, perché ci siamo ritrovati pienamente in molti punti dell’Appello di invito a partecipare a questa importante assemblea sui problemi dell’occupazione e della creazione di nuova occupazione. In particolare ci ritroviamo nella parte dell’Appello che afferma “……è necessario coordinare le azioni di lotta e confrontarsi per iniziare ad elaborare e sperimentare la messa in campo di possibili misure atte alla ripresa delle produzioni utili alla collettività o alla conversione di quelle dannose, salvaguardando i posti di lavoro, i diritti e le condizioni di vita dei territori, creando nuovi posti di lavoro”.
Ecco, noi nell’Amiata, stiamo lottando per questo. Per affermare scelte diverse da quelle che ci vuol propinare l’Enel con l’avvallo della regione Toscana, in primis del suo presidente Rossi.
Sembrerà paradossale lottare contro la geotermia che è intesa in senso generale, anche da tanti ambientalisti, come una energia “rinnovabile e pulita”. Ma in Amiata le cose non stanno così. La geotermia nell’Amiata non è né rinnovabile né pulita:
-è fonte di inquinamento ambientale. Basti vedere alcuni dati, senza annoiarvi con i numeri, ma solo per comprendere le dimensioni di tali emissioni. In tutta l’area amiatina le 5 centrali oggi esistenti emettono: acido solfidrico (H2S) 2492 tonnellate all’anno; mercurio(HG) 760Kg annui; arsenico (As) 84 Kg all’anno; ammoniaca (NH3) 3132 tonnellate all’anno; acido borico 11.155 Kg all’anno. Sono dati non nostri, di SOS geotermia, ma della stessa Regione Toscana (tratti dalla delibera della giunta regionale n° 344 del 22.03.10, riferiti all’anno 2007). Sono causa di inquinamento ambientale e sicuramente, dell’eccesso di mortalità nel nostro territorio rispetto ad altre zone limitrofe non geotermiche della toscana. Lo studio ARS della regione ha infatti confermato tale situazione registrando un tasso di mortalità del più 13% (negli uomini) in Amiata. Ma il direttore dell’ARS (Dott. Cipriani) ha affermato che non dipende dalla geotermia ma dagli stili di vita (mangiamo e beviamo troppo). Una vera e propria provocazione per noi amiatini. E ora vorrebbero fare in più una nuova megacentrale di 40MWatt a Bagnore 4 e raddoppiare l’attuale produzione delle centrali a Piancastagnaio.
– è distruttiva del territorio, con cementificazione, chilometri di tubazioni di gas geotermico, strade, piazzole, centrali ecc.
-è distruttiva del grande patrimonio di acqua potabile che l’Amiata rappresenta. Siamo infatti il più grosso bacino idrico del sud della Toscana e del centro Italia, che dà acqua potabile per 700.000 persone e alle province di Siena, Grosseto, Viterbo.
– che non crea occupazione perché dopo le briciole di qualche sub-appalto alle aziende edili locali per la costruzione delle centrali, per il funzionamento delle stesse in produzione di energia elettrica, sono previsti solamente 40 addetti circa, poiché sono centrali telecomandate.
-che serve solo alla multinazionale Enel per avere i contributi previsti per legge, per le rinnovabili e per i certificati verdi. Per questo l’Enel da i soldi ai comuni dell’Amiata sotto forma di “compensazioni ambientali”. In sostanza ci inquinano ma…ci pagano.
Ma si può, in nome di produrre sempre più energia e solo per il profitto  distruggere un territorio, mettere a rischio la salute di lavoratori e cittadini, il grande patrimonio che è l’acqua potabile?
Si pone quindi la necessità a partire dalla nostra esperienza sull’Amiata, di una battaglia più generale che ponga al centro, non tanto uno sviluppo qualunque, subordinato alle scelte delle lobby, delle multinazionali, della Confindustria avvallato dal governo e dai partiti che lo sostengono, ma un diverso sviluppo che ponga al centro i problemi del lavoro e dei suoi diritti insieme  alla salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente e una nuova qualità della vita-
Ecco perché le lotte sul lavoro e sull’ambiente e la salute non devono, non possono diventare antagoniste ma unificarsi negli obbiettivi di lotta come poniamo al centro delle lotte dell’Amiata. Noi non lottiamo solo contro le scelte dell’ENEL e della regione toscana ma per un diverso sviluppo economico. E’ quindi una battaglia alternativa a questo sistema. Non è questa (dell’ENEL) l’Amiata che vogliamo. La nostra non è una battaglia solo per i no alle centrali geotermiche per l’inquinamento e la distruzione del territorio che ci creano. Ma è una lotta per il si. Per la valorizzazione in termini economici occupazionali del grande patrimonio ambientale che l’Amiata ha; per una diversa scelta energetica che punti prima di tutto al risparmio energetico, ai piani energetici comunali (che nessun comune ha), all’utilizzo del calore della bassa entalpia per le iniziative di sviluppo economico del territorio (serre, acquacoltura, teleriscaldamento ecc.). Ma l’ENEL non è interessato a questo ma solo all’alta entalpia per la produzione di energia elettrica.
Ecco quindi che l’uso del calore e delle basse entalpie, della produzione di energia elettrica in un territorio va affrontato con una battaglia per un piano collettivo locale di autogestione delle risorse energetiche, per il controllo e la gestione democratica da parte dei cittadini per favorire nuova occupazione e cooperative di autogestione di lavoratori. Un terreno di lotta che parte dai vari territori ma che si collega a una battaglia più nazionale per il controllo delle risorse da parte dei lavoratori e dei cittadini.
L’ambiente e la sua salvaguardia la gestione delle sue risorse non è (non può essere) una battaglia da lasciare a pseudo comitati nazionali o diventare una battaglia di “nicchia” di gruppi di ambientalisti, ma deve diventare terreno di iniziative e di lotta per il lavoro vero, per la qualità del lavoro, per la democrazia e la partecipazione dal basso sulle scelte economiche e occupazionali da fare, riappropriandoci del nostro territorio, collegando le lotte operaie delle fabbriche a quelle più ampie dei cosiddetti “beni comuni”, come ad esempio ha dimostrato il referendum sull’acqua pubblica che deve diventare non solo la riappropriazione di questo importante bene comune ma una battaglia nazionale per un piano di interventi per la salvaguardia e valorizzazione dell’acqua con nuova occupazione e lavori socialmente utili. Ecco un esempio di come un tema importante ambientale (l’acqua), può diventare terreno di mobilitazione sui temi per “creare nuovo lavoro” come scritto nel manifesto dell’assemblea.
Un altro tema analogo di lotta che collega il tema dell’ambiente al tema del lavoro, è quello sui “rifiuti zero” dove è in atto una raccolta di firme per una proposta di legge e dove vi sono già alcuni esempi (frutto di mobilitazione dei cittadini) di una gestione del tema rifiuti zero che ha comportato maggiore occupazione (anche consistente) e quindi nuovo lavoro per i disoccupati e una diminuzione delle tariffe per i cittadini. Anche questa è una battaglia che si contrappone alle scellerate scelte degli inceneritori e delle lobby che intendono solamente speculare sul tema dei rifiuti e che ricollega le varie battaglie territoriali ad una battaglia più generale.
Vorrei sottolineare un altro tema molto importante sempre su questa linea di collegare le battaglie locali ambientali a temi nazionali per il lavoro e per una nuova economia, quale è quello lanciato dal “forum per una nuova finanza pubblica e sociale” a Firenze il 13 aprile 2013. Si tratta di riportare ad un controllo, ad una gestione democratica, i soldi della cassa depositi e prestiti (guarda caso attualmente gestita da Bassanini del PD) che ammontano a circa 230 miliardi di euro (una enormità di soldi) che derivano dal risparmio delle poste sui libretti dei pensionati e cittadini piccoli risparmiatori e che vengono spesso utilizzati dalle banche per finanziare grandi opere inutili. Non è vero che i soldi non ci sono. Ci sono ma sono utilizzati solo per i loro interessi e della confindustria.
E’ un tema questo importantissimo che si collega alle lotte che ho riportato sopra poiché affronta il problema del credito controllato e gestito dai lavoratori e cittadini. Il forum ha posto infatti fra i temi essenziali di questa battaglia, l’accesso al credito della nuova finanza pubblica, non solo i progetti per i beni comuni ( acqua ecc.), ma l’accesso al credito per finanziare le forme dell’autogestione delle fabbriche da parte dei lavoratori.
Sappiamo tutti che una delle maggiori (anzi la principale) difficoltà ad affrontare il tema dell’autogestione delle fabbriche è la mancanza di accesso al credito. Le banche ti chiedono; che garanzie hai? E quando gli dici che vuoi autogestire una fabbrica ti chiudono subito la porta di accesso. Avere quindi uno strumento di accesso al credito quale quello proposto dal “forum per una nuova pubblica e sociale”, vorrebbe dire dare un punto di riferimento concreto e una speranza a tutte le lotte operaie di autogestione e alle cooperative di disoccupati che si possono formare sui temi dell’ambiente e dei lavori socialmente utili.
Beni comuni, rifiuti zero, finanza pubblica ecc. rappresentano quindi dei punti dei riferimento di una battaglia più generale a cui collegare le lotte sia nelle fabbriche che nel territorio per il lavoro, l’autogestione, le cooperative di disoccupati, la difesa e valorizzazione dell’ambiente, per riappropriarci delle scelte sul proprio territorio contro le opere inutili quali la TAV, il ponte sullo stretto di Messina gli inceneritori nuove autostrade e cementificazioni.
L’esempio della battaglia dell’Amiata e dei temi di iniziativa di lotta nazionali che ho accennato dimostrano quindi che abbiamo un campo tutto aperto e ampie possibilità per delle lotte che uscendo dal solo aspetto particolare riescano a collegarsi ad una battaglia più ampia e come hanno posto diversi interventi che mi hanno preceduto a fare “rete comune”, per riappropriarci della gestione e delle scelte sui temi del lavoro e dell’economia da parte dei lavoratori e dei cittadini contro gli esclusivi interessi speculativi e di potere delle lobby economiche e politiche che governano il nostro paese.

 



Argentino Tellini, del coordinamento lavoratori e disoccupati sardi


Sono convinto che  ripartire dalla base, dagli operai, dai lavoratori e dai disoccupati, sia la strada maestra per sovvertire l'omologazione politica , ma soprattutto questa classe politica, che ha portato l'Italia nel baratro. Non sarà certo un percorso facile, 25 anni di "Berlusconismo" e di collusione di grandissima parte del centro sinistra con esso, ha prodotto nel nostro paese spaventose lacerazioni sociali ed ha anche introdotto nella cultura ed etica di massa il germe dell'egoismo e del liberismo, a discapito della solidarietà e fratellanza fra gli individui. Queste politiche, specie sul terreno economico e del lavoro hanno distrutto lo stato sociale e i diritti che si sono conquistati in tantissimi anni di lotte. Quello che stiamo vivendo è quindi un autentico dramma: generazioni di giovani senza lavoro e senza prospettive, ma anche centinaia di migliaia di cinquantenni che, espulsi dal tessuto produttivo, non possono più rientrarvi. Per non parlare dei milioni di precari e del precariato, che ormai è il vero regime lavorativo italiano, con questi lavoratori sempre più ricattati e male rappresentati. Le politiche restrittive e suicide dell'Europa, che con la linea dell'austerità imposta dalle Banche e dalle lobby finanziarie , non stanno facendo altro che peggiorare le cose : esse comprimono l'economia, la soffocano, ne diminuiscono i consumi e soprattutto producono generazioni di disoccupati. A nulla servono le preghiere ed i continui moniti di economisti di livello mondiale che condannano e criticano l'Unione Europea e gli Stati Membri per queste scellerate politiche restrittive. La grande finanza internazionale, la vera padrona della politica attuale , continua a non sentirci. L'attuale Governo italiano, con l'accordo-inciucio fra PD e PDL, è in perfetta linea con Bruxelles, in continuità con il Governo Monti, e non sembra in grado ne del resto ha la volontà politica di opporsi a questa situazione, dando attuazione a provvedimenti suicidi come il "Fiscal Compact". Occorre perciò formare una vera opposizione sociale, che veda come protagonisti ed attori del cambiamento proprio i lavoratori ed i disoccupati. Le condizioni ci sono tutte. Ben vengano quindi le assemblee e le iniziative di riunificazione di un blocco popolare e sociale alternativo, come quella di Firenze. Anche in Sardegna stiamo seguendo questo percorso, con importanti assemblee popolari effettuate a P.Torres ed Ottana, che assieme al Sulcis sono lo specchio del momento terribile che stiamo vivendo, lo specchio di una mancanza di un piano industriale che ha prodotto macerie, danni ambientali ed una disoccupazione fra le più alte del nostro Paese. Il coordinamento sardo dei lavoratori e dei disoccupati ad Ottana ha approvato un documento che invita alla mobilitazione della società sarda, stabilendo che è indispensabile l'unione fra disoccupati, operai ,  lavoratori dell'industria, quello del mondo agro pastorale e della piccola impresa. E'  stato inoltre ribadito che far convivere industria, rispettosa dell'ambiente e della dignità del lavoro, con turismo, pastorizia, agricoltura e terziario è mai come ora necessario, anzi è la vera sfida del futuro del popolo sardo. Nelle prossime iniziative del coordinamento dei lavoratori e disoccupati sardi ,che saranno di mobilitazione e lotta , ma anche di proposta, indicheremo in maniera più esplicita e dettagliata le nostre piattaforme, i nostri programmi ed obbiettivi. Collaboreremo e ci rapporteremo naturalmente con chi in altre realtà segue il nostro stesso cammino. Come si vede, siamo già in tanti………..


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Massimo Bani, Terra Bene Comune, Firenze


Ringraziamo calorosamente gli organizzatori dell’incontro di Firenze e salutiamo con affetto tutte le persone che vi hanno preso parte.
Il Comitato Terra Bene Comune nasce per opporsi alla svendita del demanio pubblico (e in particolare delle terre demaniali) rilanciata dal governo Monti con il decreto salva Italia. Presto ci siamo resi conto che dovevamo essere propositivi e non fare solo una battaglia (impossibile) difensiva. Così abbiamo cominciato a raccogliere progetti contadini di giovani e meno giovani che vogliono svolgere un’attività agricola, di piccola scala, spesso di sussistenza, comunque economicamente sostenibile. Il prossimo obiettivo sarà il confronto con le amministrazioni locali (più raggiungibili e comunque con ampio parco di terreni incolti ed edifici da ristrutturare) ma anche con i privati, per individuare e ottenere terreni in comodato/concessione gratuita, unica condizione oggi possibile in grado di permettere la sopravvivenza di un’attività agricola di piccola scala. Ci stiamo anche battendo per una semplificazione delle normative per le piccole aziende del settore agricolo, non in grado di sopportare i costi imposti da una burocrazia pensata per le grandi imprese agricole. Siamo altresì consapevoli che chi lavora la terra la debba anche abitare, per questo proponiamo una nuova edilizia contadina, non speculativa, fatta con materiale a basso/zero impatto ambientale. Pensiamo che l’agricoltura di piccola scala e rispettosa dell’ambiente sia l’unica in grado di preservare il territorio collinare e montano, salvandolo dall’abbandono e dalla rovina idrogeologica, nonché l’unica in grado di salvaguardare e aumentare la biodiversità e le specialità che hanno reso il cibo italiano famoso in tutto il mondo. Pensiamo che l’agricoltura possa essere una fonte di reddito, sussistenza, libertà e reintegrazione per tante persone, per che quelle che hanno perso il lavoro, per quelle che un lavoro non ce l’hanno mai avuto, per i migranti. Stiamo cercando di creare sinergie fra nuovi agricoltori e vecchi agricoltori esperti per creare una rete di aiuto e scambio di conoscenze. Pensiamo che sia dovere di ogni governo, locale o nazionale, mettere a disposizione gratuitamente il proprio patrimonio per un’attività fondamentale e socialmente utile come è l’agricoltura. Stiamo lavorando e ci stiamo organizzando, siamo però anche consapevoli che l’autorganizzazione solitaria dei piccoli agricoltori è difficile, per il sostanziale disinteresse delle grandi organizzazioni di categoria (condizionate dalle lobby dell’agrobusiness) e per le caratteristiche stesse del lavoro contadino, che vede spesso gli agricoltori lavorare in solitudine e con orari, stagioni ed esigenze estremamente diversificati. Ciò nonostante, siamo convinti che senza il coinvolgimento e il cambiamento dell’agricoltura, in quanto settore primario, sia impossibile giungere a un sistema produttivo e sociale complessivo diverso, a misura d’uomo e rispettoso dell’ambiente. Per questo, oltre che a presentare la nostra esperienza e le nostre idee, siamo venuti a chiedere aiuto e collaborazione ai lavoratori più coscienti e organizzati del settore industriale e dei servizi, affinché prendano contatto con i comitati di difesa dell’agricoltura contadina a loro più prossimi, per giungere a una nuova fase, che cancelli le false e inutili contrapposizioni create ad hoc per tornaconto economico e di potere e apra a una nuova era di integrazione e collaborazione di tutti i settori produttivi, per il benessere vero e la felicità di tutte le persone.

Massimo Bani per il Comitato Terra Bene Comune di Firenze



Marco Spezia. Redazione di Know Your Rights

 

Prendo spunto da alcuni degli interventi che mi hanno preceduto e che hanno accennato al problema della sicurezza sui posti di lavoro per ricordare che, assieme alla battaglia per la salvaguardia del lavoro, è fondamentale la battaglia per la tutela della dignità del lavoro.
La logica del profitto che chiude le fabbriche, che licenzia, che manda in cassa integrazione è la stessa che vuole annullare il diritto di chi lavora alla tutela della propria salute e della propria sicurezza sul lavoro.
La logica del profitto è quella che taglia i costi per gli interventi di adeguamento dei luoghi di lavoro e delle attrezzature, per l’eliminazione dei prodotti pericolosi, per i dispositivi di protezione individuale, per la formazione e la sorveglianza sanitaria dei lavoratori.
La dignità del lavoro, intesa anche come tutela di salute e sicurezza, va nella direzione opposta della politica imprenditoriale che antepone a tutto il massimo profitto.
In quest’ottica è evidente che la riduzione del personale attuato da molte aziende non comporta solo problematiche per chi perde il posto di lavoro, ma anche un sovraccarico di lavoro per chi rimane, con aumento della fatica fisica, dello stress, del rischio di infortunio.
E in questo i lavoratori non sono per niente tutelati da leggi di per sé insufficienti a garantire la dignità del lavoro.
In questo ambito è poi scandaloso il comportamento del governo Letta che proprio venerdì 21 giugno ha varato il cosiddetto “Decreto del fare” che contiene, tra le altre cose, riduzioni, sotto forma di “semplificazioni”, delle tutele su salute e sicurezza contenute nella normativa vigente.
La battaglia per il lavoro deve da un lato garantire per tutti la possibilità di avere un lavoro, ma contemporaneamente deve garantire per tutti la dignità del lavoro, in termini di tutela della salute e della sicurezza.

Un caro saluto e un forte abbraccio!

 

Marco Spezia


 

Comitato di sostegno ai lavoratori Indesit Aversa Teverola

Cari compagni non possiamo oggi essere con voi. Ma come la nostra presenza c'era già a Grottaminarda a significare come la giustezza nel ricercare qualsiasi tipo di lotta e di organizzazione orizzontale sia significativa per la lotta di classe cosi siamo vicini a voi in questo ulteriore passaggio di coordino delle realtà di lotta e resistenti. Dopo anni di relativa calma (sostenuta e vezzeggiata dai complici padronali della triplice) il paternalismo dei Merloni si è svelato per quello che è semplice sfruttamento del lavoro pronti a gettare sul lastrico migliaia di operai quando la quota di profitti tentenna di qualche punto. Dopo aver acquisito l'Indesit negli anni 90 per quattro soldi , aver approfittato di incentivi e altro per vent’anni, dopo aver venduto il lavoro ai figli dei pensionandi in cambio del rifiuto di 10 milioni di vecchie lire al momento della liquidazione, aver accumulato profitti sulla produttività di nuove linee più veloci, aver richiesto sacrifici agli operai oggi 1500 licenziamenti per delocalizzare in Polonia e Turchia dopo sperano in operai più arrendevoli. La produzione è persino di qualità secondo i loro standard eppure ristrutturazione! E' la logica del Capitale , la logica che ha sempre contraddistinto questo tipo di società che noi non accettiamo e che vogliamo trasformare . E il nostro attuale sostegno diverrà Organizzazione e Resistenza con altre realtà per connettere soggetti, figure e lotte contro i diktat della Troika ! A rivederci in piazza!  Dentro e fuori i cancelli!
Comitato di sostegno ai lavoratori Indesit Aversa-Teverola


Laboratorio delle disobbedienze Rebeldia – Ex Colorificio Occupato, Pisa

Il Laboratorio delle disobbedienze Rebeldia aderisce all'assemblea “Riapriamo le fabbriche, creiamo posti di Lavoro! Estendiamo il conflitto, costruiamo l'alternativa” promossa da soggetti sociali e politici che, in tutta Italia, si mobilitano in difesa dei posti di lavoro e per un nuovo modello di produzione.
Un modello alternativo che rappresenta soluzioni praticabili fuori dalle logiche costituite che, ad oggi, hanno rappresentato occasione di facili proventi per poche famiglie e potentati a scapito di lavoratori, cittadini e territori.
Occorre costruire un fronte di lotta dai luoghi di lavoro ai territori: dall'Ilva alle acciaierie di Piombino, dagli operai dell'Alcoa a quelli della Fiat che solo pochi giorni fa hanno presidiato la fabbrica di Pomigliano; dai lavoratori precari della logistica a quelli della Richard Ginori; dai precari della scuola e dell'Università ai lavoratori della sanità, fino alle cooperative e le tante false partite Iva che ogni giorno lavorano nei call center, nei cantieri, studi professionali, magazzini e depositi. Dalla Val Susa a Niscemi, da Taranto, Termini Imerese, Terni, Piombino, Genova, Melfi, Mirafiori, Termoli ai territori agricoli dove il caporalato ed il lavoro nero sono la regola che viene imposta a lavoratori di ogni provenienza.
Dal saccheggio dei territori alla negazione dei diritti elementari, dallo sfruttamento alla mancanza di sicurezza sul lavoro. Dalla mancanza di un salario alla negazione di tutele elementari, diritti e servizi.
Gli ultimi avvenimenti politici confermano una tendenza che ci ha condotto fino a questo punto, a poco valgono avvicendamenti di leader e di schieramenti apparentemente opposti, promesse, lunghi discorsi su interessi, debiti, spread: il modello rimane il solito, la situazione non cambia, a pagare saranno sempre i lavoratori a guadagnare sempre i padroni. Aderiamo all'appello di Grottaminarda e rilanciamo con un appuntamento per avviare una riflessione su un nuovo modello economico il 21-22 settembre a partire dalle esperienze di autogestione già realizzate.


Valerio Evangelisti, scrittore, Bologna

Care compagne, cari compagni,
seguo dall’inizio, con particolare simpatia e ammirazione, la lotta degli operai dell’Irisbus. Saluto dunque questa assemblea, nella certezza che sarà un momento importante del percorso intrapreso, fatto di determinazione e di coraggio.
Sapete meglio di me di avere contro tutti. Sindacati pronti ai peggiori compromessi, una cosiddetta “sinistra” di fatto al governo con i propri teorici nemici, un’ideologia fallimentare presentata come l’unico vangelo. E istituzioni sedicenti democratiche, nazionali ed europee, che sono l’esatto contrario della democrazia.
Non tutti gli “intellettuali”, ammesso che sia ancora lecito usare questo termine ambiguo, sono contro di voi. Tra figure pronte a vendersi e a genuflettersi al potere, resta un piccolo manipolo che non sta al gioco. Per quanto mi riguarda, fin da adolescente mi dissero che esisteva un “intellettuale collettivo”, il proletariato in lotta. Sono passati tanti anni, ma continuo a riconoscermi in quella formula.
Nel vostro manifesto di convocazione citate tanti momenti di conflitto di classe in Italia, dai No Tav e No Muos ai movimenti studenteschi, dei precari, delle fabbriche che resistono, dell’antifascismo militante. Mente chi dice che gli italiani sono incapaci di manifestare rabbia e sdegno. Nella mia città, Bologna, patria stessa della sinistra addomesticata e consociativa, potrei citarvi decine di episodi di resistenza concreta, solo negli ultimi mesi. Uno sciopero dei lavoratori della logistica ha portato alla luce le contraddizioni delle cooperative, nate per liberare i proletari dallo sfruttamento e divenute sfruttatrici esse stesse. Uno sciopero dei trasporti pubblici, indetto da un sindacato di base, ha paralizzato la città. E poi agitazioni dei precari della scuola, degli studenti medi e universitari, degli impiegati pubblici. Sarebbe una lista lunga pagine.
Occorre unificare le forme di conflittualità sparse sul territorio. Il movimento No Tav è stato esemplare in questo senso, ma non basta. La lotta della Irisbus, guidata dall’istanza per cui la fabbrica dev’essere di chi ci lavora, potrebbe essere un secondo attrattore, potentissimo. E saldarci a esperienze analoghe in tante parti del mondo.
Da ragazzo gridavo nei cortei: «La classe operaia deve dirigere tutto.»
Oggi, anziano e malaticcio, ripeto la stessa frase: «La classe operaia deve dirigere tutto.»
Un forte abbraccio
Valerio Evangelisti


Leonardo Mazzei, Movimento Popolare di Liberazione


Intervenendo praticamente alla fine dei lavori, mi sento di poter dire che quella di oggi è stata un'ottima assemblea, di quelle da cui si impara molto. Un risultato di cui va dato il merito a tutti i partecipanti, ma in particolar modo agli organizzatori.

Ho deciso però di intervenire per segnalare l'assenza dal dibattito di due questioni che noi del Movimento popolare di liberazione riteniamo invece decisive.

Tutti coloro che mi hanno preceduto, oltre a parlare in molti casi delle lotte in corso, hanno sottolineato la necessità di coordinarle. Un coordinamento che ha bisogno di una visione e di un progetto politico.  Ecco, andando avanti nel ragionamento, noi diciamo che questo progetto deve porre l'obiettivo del governo, più esattamente di un governo popolare d'emergenza. In grado cioè di attuare un programma di misure d'emergenza, per uscire dalla crisi, fermare la catastrofe sociale, salvaguardando gli interessi del popolo  lavoratore.

Altri non sono stati così espliciti, ma mi pare evidente che gli obiettivi qui enunciati sull'occupazione, il salario, i diritti, le condizioni di vita, possano trovare una risposta solo in questo quadro.

Ma come pensiamo si possa arrivare ad una svolta di questa portata? Noi lo diciamo chiaramente: ad un certo punto i mille rivoli dei vari fronti di lotta dovranno unificarsi in un possente movimento di massa che dia luogo ad una vera sollevazione popolare in grado di assumere il governo del paese.

Questa questione, che pur aleggiava in alcuni interventi, non è stata posta qui in termini espliciti. E questo è il primo problema che volevo segnalare.

Ma c'è un secondo tema che è stato addirittura completamente ignorato. Si è molto discusso degli obiettivi da perseguire, e dunque delle scelte politiche che sono necessarie per raggiungerli. Qualcuno, anche prima di me ha toccato la questione del governo. Ma – domanda – l'Italia è oggi un paese sovrano?

Se noi guardiamo alla realtà di tutti i giorni, alle discussioni che si svolgono attorno ad ogni scelta del governo, anche a quelle di minor portata, non sarà difficile rendersi conto che l'Italia non è un paese sovrano, e che le politiche delle classi dominanti si servono fondamentalmente di due strumenti: la gabbia rappresentata dall'Unione Europea, il bastone chiamato "debito pubblico".

E' in questo contesto che oggi si svolge la nostra lotta, la lotta di classe nella realtà nazionale in cui operiamo. Non possiamo fingere che non sia così.

Ecco perché è davvero preoccupante l'assenza dalla nostra discussione di oggi del tema dell'Europa, ed anche di quello del debito che è comunque sempre correlato alle regole della gabbia europea (vedi il Fiscal compact).

La nostra opinione è che ci si debba battere per uscire dall'Unione Europea, per riconquistare la sovranità nazionale (inclusa quella monetaria, uscendo dall'euro e dal suo sistema). E' in questo quadro che si dovrà procedere ad una forte ristrutturazione del debito pubblico, togliendo risorse ai pescecani della finanza internazionale per utilizzarle per intervenire sulle varie emergenze che colpiscono le classi popolari: occupazione, sanità, scuola, pensioni, eccetera.

Questa è la questione decisiva che dobbiamo affrontare, dalla quale oggi non possiamo prescindere. Il mostro antiproletario rappresentato dal sistema UE-euro deve essere abbattuto. Poniamo dunque come centrale l'obiettivo dell'uscita del nostro paese dall'Unione Europea e dalla moneta unica.

E' ora che questa consapevolezza diventi patrimonio comune di tutte le avanguardie, di tutti coloro che vogliono davvero battersi per rovesciare il presente stato delle cose.


Piattaforma Comunista
ALL’ASSEMBLEA OPERAIA E POPOLARE DEL 22 GIUGNO 2013 A FIRENZE

Operaie e operai della Ginori e Irisbus, compagne e compagni, salutiamo calorosamente l’assemblea che avete organizzato, continuando il percorso iniziato il 6 aprile a Grottaminarda, ed esprimiamo piena solidarietà alle vostre lotte, che costituiscono un importante esempio per tutti gli sfruttati.
I licenziamenti di massa, la chiusura delle fabbriche, il numero sempre più alto di disoccupati (dal 2008 al primo trimestre del 2013 il numero dei nuovi disoccupati creati dalla crisi ha superato il milione di unità, contribuendo a far raggiungere all’Italia il record del 12,8%), l’aumento infernale dello sfruttamento per i pochi “fortunati” che mantengono il lavoro, hanno una sola ragione: il tentativo dei padroni di scaricare la crisi sulle spalle dei lavoratori, l’inaccettabile aumento dei dividendi degli azionisti, la corsa sfrenata alla competitività. I padroni sono interessati unicamente al massimo profitto mediante lo sfruttamento, la rovina e l'impoverimento degli operai.
E’ di fronte ai nostri occhi l’incapacità e l’irresponsabilità dei governi e dei politicanti borghesi, che si rifiutano di intervenire per salvare i posti di lavoro, che non sono capaci di definire uno straccio di politica industriale in grado di salvare il paese da un declino sempre più irresistibile, di dare speranza e futuro alle giovani generazioni.
Da parte loro i vertici sindacali collaborazionisti si preoccupano solo di gestire la cassa integrazione, eludendo le richieste degli operai e infischiandosi del futuro delle loro famiglie. Con le chiacchiere nelle sedi ministeriali non si riaprono le fabbriche, ma si frenano solo le lotte.
Di fronte alla scandalosa soppressione dei posti di lavoro per l’aumento dei margini di profitto, di fronte alla chiusura di interi settori, alla soppressione dei diritti operai e popolari, le lavoratrici e i lavoratori Ginori, Irisbus e di altre fabbriche stanno dimostrando con la lotta che questa politica infame non può e non deve passare.
Appoggiamo in pieno le rivendicazioni operaie:
• Blocco immediato dei licenziamenti
• Esproprio senza indennizzo delle fabbriche che chiudono, delocalizzano e inquinano
• CIG al 100% a spese dei padroni e dello Stato
• Stanziamento dei finanziamenti necessari a riaprire le fabbriche e salvare i posti di lavoro.
Un governo abusivo e completamente delegittimato dal voto popolare come il

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