OCCUPY ISFOL
La ricerca è un bene comune
Roma, 6 giugno 2012.
RICERCA: LAVORATORI OCCUPANO L'ISFOL CONTRO SMANTELLAMENTO DELL'ISTITUTO USB, la ricerca pubblica è un bene comune e non si svende I lavoratori dell'ISFOL, sostenuti dall'USB P.I., hanno occupato questa mattina la sede dell'Istituto, in Corso d'Italia 33 a Roma, per dire no allo smantellamento dell'Ente Pubblico di Ricerca.
Dopo un fitto periodo di mobilitazione, che ha visto presidi, flash-mob, lettere aperte e colloqui con gli attori socio-istituzionali, oggi i lavoratori hanno dato vita ad una partecipatissima assemblea in cui hanno deliberato l'occupazione e con un corteo interno hanno raggiunto i locali del CdA, al 6° piano dell'Istituto. L'ISFOL è un Ente Pubblico di Ricerca, vigilato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dotato per statuto di autonomia scientifica.
Da quaranta anni l'Istituto fa ricerca e assistenza tecnica sui temi del lavoro, della formazione e delle politiche di inclusione sociale in una prospettiva europea, nazionale e territoriale; ha accompagnato l'ingresso e il consolidamento delle politiche comunitarie fin dagli anni '90; ha anticipato in modo pionieristico i processi di negoziazione tra gruppi portatori di interessi distinti e tra regioni e Governo centrale. Un patrimonio che, secondo USB, costituisce un bene comune per l'intero Paese. Ciò nonostante il Ministro Fornero, con il totale assenso del PdL e del PD, è pronto allo smantellamento dell'Istituto, per affidare ad una SpA la gestione dei fondi comunitari e delle ricerche la cui autonomia e affidabilità scientifica può essere garantita soltanto da un ente pubblico ed indipendente.
Contro il killeraggio dell'ente, contro la conseguente messa alla porta di circa 300 precari e la dispersione del personale a tempo indeterminato opera in ISFOL, i lavoratori, chiedono l'apertura immediata di un tavolo istituzionale, nell'ambito del quale vogliono essere parte attiva in un quadro trasparente di relazioni tra le parti, ponendo fine al clima di umiliante attesa e di ingiustificata condanna di quel patrimonio conoscitivo e di competenze di cui un paese europeo non dovrebbe fare a meno.
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