La costituzione esce dalle fabbriche
di Giorgio Cremaschi
Il 20 maggio 1970 veniva approvato lo statuto dei lavoratori. Allora si disse, usando una frase di Di Vittorio, che la Costituzione varcava finalmente i cancelli dei luoghi di lavoro. Oggi ne esce, con la controriforma del lavoro suggellata dalle dichiarazioni tecnicamente reazionarie della ministra Fornero. Il lavoro non ha più diritti e non e' più un diritto, può solo essere il premio di chi vince la competizione selvaggia nel mercato e nella vita.
Di fronte a questa drammatica sconfitta sento prima di tutto il bisogno di scusarmi per la parte che ho in essa. Tempo fa avevo scritto e detto che di fronte all' attacco all'articolo 18 avremmo fatto le barricate. Pensavo ancora alla Cgil guidata da Cofferati dieci anni fa e alle rivolte dei sindacati e del popolo greco oggi. Non e' stato così, mi sono sbagliato sono stato troppo ottimista. E ora subiamo la più dura sconfitta sindacale dal dopoguerra senza aver combattuto in maniera adeguata.
Colpa dei lavoratori impauriti e ricattati dalla disoccupazione e dalla precarietà? No colpa dei dirigenti di quello che una volta definivamo movimento operaio ed in particolare di quelli della Cgil. Non e' vero infatti che su questo tema non ci fossero spinte alla mobilitazione. E' vero anzi il contrario. A primavera era cresciuto un movimento diffuso nelle fabbriche con adesioni agli scioperi anche di iscritti a Cisl e Uil. C'era stata la manifestazione Fiom del 9 marzo a Roma e quella promossa dal NoDebito a Milano. La Cgil aveva proclamato 16 ore di sciopero. Certo erano ancora avanguardie di massa quelle che si mobilitavano, ma il loro consenso era diffuso e trasversale, maggioritario nel paese. Uno sciopero generale della portata delle lotte del 2002 era alla portata ed avrebbe aperto un fronte complessivo con il governo, mettendo in gravi difficoltà Cisl e Uil e ancor di più il partito democratico. Ed e' per questo che non si e' fatto. La squallida mediazione definita tra i partiti di governo si e' trasferita sul progetto di legge, Cisl e Uil hanno accettato e la Cgil ha finito di opporsi. E, fatto ancor più grave, ha accettato la mediazione che cancellava l'articolo 18 facendo finta di aver vinto. A quel punto la prospettiva di una unificazione delle lotte e' saltata e anche la Fiom ha drasticamente ridimensionato la propria iniziativa. Il movimento si é quindi ridotto a singole azioni di lotta, da ammirare ringraziare, ma insufficienti a pesare sul quadro politico. Tante fabbriche metalmeccaniche, prime la Same e la Piaggio han continuato eroicamente a scioperare. I sindacati di base hanno generosamente scioperato il 22 scorso. Ma non poteva bastare, tenendo conto anche del terribile regime informativo che censura ogni dissenso mentre ossessivamente grida: viva monti, viva l'euro, viva il rigore.
La giornata del voto ha così rappresentato la sconfitta. Con poche centinaia di persone davanti Montecitorio divise a metà', e con gli organizzatori della Cgil che mettevano la musica rock ad alto volume per coprire le voci dell'assemblea spontanea che si stava svolgendo in una parte della piazza.
Sì io sento il bisogno di scusarmi per questa sconfitta e per come e' maturata, anche se credo di aver fatto tutto quello di cui sono capace per impedire che le cose andassero così.
Ora abbiamo il modello Marchionne esteso a tutto il mondo del lavoro e dobbiamo ricostruire potere e forza. Non sarà facile ma ci dobbiamo provare, ancor di più noi che siamo consapevoli della portata di questa sconfitta. Senza fare sconti a chi ne e' più responsabile nel sindacato, e senza dimenticare mai più la colpa di monti e del Pd che lo sostiene. Dei quali dovremo essere solo intransigenti avversari.
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