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Venezuela agente di un nuovo ordine multipolare
Di Marco Zoboli – Presidente CeSPIn – Puntocritico
L’attenzione internazionale sulle ultime elezioni presidenziali venezuelane del 7 ottobre, esprimono da sole l’importanza strategica che il paese latinoamericano riveste oggi nello scacchiere politico mondiale.
E’ curioso notare come uscendo dalla copertura mediatica occidentale, notoriamente ostile a tutti i processi che marciano verso la direzione di un riscatto della propria sovranità nazionale, i giudizi politici mutino radicalmente; scorrere le pagine web delle più importanti testate latinoamericane, africane, asiatiche significa prendere atto che il rapporto che i nostri media hanno, salvo qualche rara eccezione, con il processo Bolivariano del Venezuela è prettamente di natura ideologica.
Questo tipo di ostilità presente fortemente anche in molti organi d’informazione della nostra sinistra in pieno processo di decomposizione, mette in luce la mancanza di autonomia da parte delle forze progressiste italiane dagli interessi del grande capitale finanziario e imprenditoriale. Questo non solo perché è disdicevole legittimare un nuovo modello di società di natura socialista che rimette al centro dello sviluppo l’uomo e i suoi diritti umani e civili, quando nel nostro continente questi diritti vengono ridimensionati se non eliminati come è accaduto recentemente nel nostro paese con l’eliminazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori; ma perché la rivoluzione bolivariana rappresenta l’anima politica ed egemone nel processo d’integrazione politico economico e sociale dell’intero continente latinoamericano che con il suo divenire e con il suo consolidamento indebolisce l’attuale modello economico finanziario occidentale e le sue strutture di compenetrazione (Banca Mondiale, FMI..).
La decadenza del sistema unipolare occidentale sta lasciando margini per la ridefinizione di un sistema multipolare che assieme alle emergenti potenze asiatiche vede l’America Latina in prima linea in questo progetto in corso. La nascita di Unasur (Unione delle Nazioni Sudamericane) rappresenta la pietra miliare in questo processo fondativo.
Non deve perciò stupire se ogni occasione è buona per discreditare e diffamare i soggetti politici più intraprendenti e attivi in questo processo storico che inevitabilmente porterà con l’emergere di nuovi equilibri geopolitici a un enorme ridimensionamento dell’influenza statunitense ed europea su scala globale.
La sfida che lancia la Rivoluzione Bolivariana va ben oltre gli equilibri geopolitici, guarda verso l’orizzonte di una sfida nel modello socio economico, una rivoluzione umanista di stampo socialista che ricerca il superamento delle contraddizioni delle precedenti esperienze socialiste del XX secolo. E’ anche per questo che occorrerebbe nel nostro paese una classe politica matura che avesse l’umiltà di comprendere e accettare il fallimento del nostro modello politico economico e guardare anche con spirito esplorativo verso nuovi modelli sociali, che al di là delle peculiarità endogene, presentano innovazioni sociali e sincretismi inediti che meriterebbero essere oggetto di studio o quantomeno osservate con maggior attenzione e senza pregiudiziali.
L’attuale crisi economica che si presenta e ci viene presentata volutamente come crisi finanziaria (come se la seconda non fosse la diretta conseguenza della prima), non può trovare sbocchi all’interno del modello che l’ha generata e tantomeno può essere superata all’interno dei conflitti finanziari intercapitalisti. La crisi richiede una risposta politica. Un processo di trasformazione dell’attuale sistema economico e finanziario mondiale richiede una direzione politica autonoma dagli interessi del grande capitale. Non è un caso che i paesi emergenti siano essi asiatici o latinoamericani godono di sistemi socio – politici che nella loro differenza hanno il potere, la capacità e l’autonomia di regolare le proprie economie.
Il continente latinoamericano in questa sua nuova e colorata primavera sta mostrando al mondo l’importanza, le potenzialità e il ruolo fondamentale che una politica sana e democratica può avere se indirizzata verso gli interessi della collettività. Non si può non vedere come i modelli di nuova democrazia, in particolare dei paesi ALBA – Alleanza Bolivariana dei Popoli di Nuestra America (Venezuela, Cuba Ecuador, Bolivia, Nicaragua…) siano avviati verso un’inedita e incredibile estensione dei diritti democratici verso i propri popoli e a un reciproco avvicinamento fraterno e solidale che cozza con il processo regressivo europeo dove alla lotta di classe calata dall’alto verso il basso da parte dei governi nazionali che annichilisce i diritti dei lavoratori e di cittadinanza, si aggiungono i rapporti fratricidi in seno ai paesi dell’Unione Europea, visto che non vi sono altri parametri e interessi nella comunità europea se non quelli meramente di natura economica che confliggono continuamente al proprio interno.
Il 7 ottobre 2012 è stata una giornata che ha tenuto con il fiato sospeso molte capitali, sebbene la certezza delle rielezione del presidente Chavez fosse data dai risultati strepitosi di questi 14 anni di direzione bolivariana; un differenziale di misura ridotta avrebbe potuto far mettere in moto la macchina del fango, che nel parcheggio del Pentagono è sempre pronta all’uso come pronti sono i suoi megafoni internazionali. Così non è stato, 11 punti di differenziale hanno messo al sicuro la vittoria da qualsiasi insinuazione e menzogna pronta ad uscire dal cassetto. La sfida che attende ora la nuova dirigenza venezuelana è quella di consolidare il processo rivoluzionario, consolidare il processo d’integrazione latinoamericano, consolidare le relazioni internazionali a partire dagli agenti del nuovo fulcro geoeconomico (BRICS) e sospingere il socialismo del XXI secolo e la sua elaborazione sul terreno della sperimentazione verso un orizzonte di confronto dialettico con ambizioni di egemonia culturale e politica di natura gramsciana.
16 ottobre 2012
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