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Prigionieri della rete
A. Fava intervista Richard Stallman
Da Il Manifesto – 5 novembre 2012
Per Richard Stallman, guru del software libero, condividere se stessi su social network, motori di ricerca e tablet è infilarsi volontariamente in una galera dorata, senza sbarre ma totale.
Se Pico della Mirandola avesse conosciuto Richard Stallman, oltre alla libertà tra scegliere di essere angeli o bruti, probabilmente avrebbe aggiunto una terza opzione: usare il software libero. Per Richard Stallman, fondatore della Free Software Foundation e padre di GNU, che insieme al kernel Linux forma GNU-Linux, è l'unica scelta etica, l'unica che ti rende libero da quella che chiama «colonizzazione digitale». Con Stallman non parlate di open source (tradotto in italiano codice sorgente aperto), un'espressione che detesta da quando fu proposta da Christine Peterson presidente di un'azienda specializzata in nanotecnologie, ufficializzata da Eric S. Raymond al lancio di Mozilla e adottata da una parte del mondo hacker (sull'argomento Codice libero – Richard Stallman e la crociata per il software libero di Sam Williams). Stallman ormai è un globe trotter per la libertà digitale, catechizza gli utenti, convince i governi ad adottare piattaforme libere. A breve potrebbe farlo anche il comune di Genova e infatti abbiamo intervistato Stallman dopo una conferenza a palazzo Tursi organizzata dalla Lista Doria e da Lanterna digitale libera (LDL). Qualsiasi domanda gli poniate, preparatevi ad essere redarguiti se lui non è d'accordo. Irascibile, schietto, tranchant. Stallman è così. Prendere o lasciare.
Trent'anni di battaglie per la libertà di utilizzo di software libero. Trent'anni contro il controllo dei software privato sui computer degli utenti. Ne è fiero?
Sono soddisfatto di quello che ho fatto della mia vita. Ma non abbiamo ancora vinto. Non è questione di conquiste personali. Ci sono problemi oggettivi che cerchiamo ancora di correggere. Anche se abbiamo fatto molta strada, ne manca ancora tanta per eliminare i software proprietari.
Non pensa che la crisi economica possa convincere le amministrazioni pubbliche, anche per ragioni di budget, ad adottare il software libero?
Non ne ho idea. Non so quali mutamenti porterà la crisi. E poi questa non è una questione economica. È qualcosa di più importante: è una questione di libertà. Magari Genova deciderà di adottare il software libero. Ma i proprietari di software hanno molti soldi e li usano per essere sempre più influenti. Ad esempio Microsoft o Apple dicono: apriamo un centro di ricerca nella vostra regione e spendiamo milioni di euro ogni anno. Possono comprare in questo modo parecchie amministrazioni. Tanti governi hanno un'idea così debole della loro missione che se arriva uno che offre soldi e investimenti, gli fanno fare quello che vuole. Nel 2005, quando la Ue stava pensando a una direttiva per permettere i brevetti dei software, la Danimarca era contro. La Microsoft ha comprato una piccola compagnia informatica danese con 3-4 mila dipendenti, ha mandato una lettera al primo ministro dicendo che avrebbero chiuso la compagnia se il paese non appoggiava la direttiva. E così è stato. Invece ogni volta che un'amministrazione pubblica rinuncia ad usare un software libero, diventa attaccabile e viene meno ai suoi doveri verso i cittadini perché rinuncia alla sua sovranità digitale. Basta pensare agli aerei israeliani che scomparirono dai radar dei servizi siriani quando fu attaccata la centrale nucleare perché – sono gli ufficiali del Pentagono a dirlo – probabilmente Israele inserì delle backdoor nel software dei radar siriani. Oppure pensiamo agli attacchi Usa ai computer venezuelani nel 2003 quando il governo di Chavez decise di nazionalizzare la compagnia petrolifera.
Pensa che la rivoluzione digitale possa partire dal basso? E da dove si inizia?
Penso che si debba partire dalle scuole. Le scuole dovrebbero insegnare solo su software libero per educare la gente alla libertà, alla collaborazione e alla condivisione dei saperi. La questione non è rendere l'educazione migliore, ma scegliere tra un buon sistema scolastico o un cattivo sistema scolastico. La scuola non dovrebbe insegnare la dipendenza ma lo sviluppo delle capacità e dell'energia. Quindi dovrebbero diplomare persone in grado di usare software liberi per creare una società libera. Ma ci sono aziende come Microsoft che regalano copie dei loro software alle scuole. Fanno come gli spacciatori che all'inizio regalano una dose. E creano dei dipendenti. Le scuole dovrebbero rifiutare. Le università anche, a partire dal Politecnico di Torino dove grazie all'attuale rettore Gigli e all'avvallo del rettore precedente Profumo (l'attuale ministro) c'è persino un centro Microsoft. Per non parlare del fatto che se ci sono degli studenti che hanno doti da programmatore saranno frustrati. Come impari a scrivere un codice di un programma piuttosto complesso? Apportando qualche modifica a un programma già esistente e questo lo puoi fare solo con un free software.
Lei parla di sistema colonizzato e colonizzazione digitale. Che cosa intende?
Un sistema coloniale tiene i colonizzati divisi e impotenti. Così i software proprietari mantengono i fruitori impotenti. Un sistema coloniale deindustrializza, di solito, i popoli che controlla. Il software privativo ti rende incapace di qualsiasi modifica, in pratica sei blindato in quello che è stato deciso dall'alto per te. Non è un paese che viene colonizzato in questo caso, è una società, ma penso che ci siano delle somiglianze. Per questo parlo di «sistema coloniale».
Gli utilizzatori dei software proprietari non sempre sono consci di essere spiati. Lei ha raccolto le prove secondo cui dietro ai software proprietari si nasconde una vasta operazione di controllo. Ci racconti un po' che cosa sono le malicious features, le funzionalità malevole. Che cosa succede esattamente nei computer?
Windows ad esempio ha almeno due sistemi di sorveglianza. Qualcuno ha scoperto che ogni volta che cerca qualcosa nei suoi file in Windows, il suo firewall riporta un messaggio a qualcuno. Probabilmente ne ricavano che cosa stai cercando. Un'altra cosa che so è che in qualche versione di Windows quando fai gli aggiornamenti, mandano alla Microsoft la lista di tutti programmi che hai installato. Alla fine degli anni Novanta questo era fatto apertamente, ci furono molte critiche, la Microsoft allora tolse il dispositivo, ma poi lo rimise di nascosto qualche anno dopo. Qualcuno lo ha scoperto e c'è voluta una certa perizia perché i dati vengono inviati criptati e se guardi il traffico di rete non vedi che cosa viene mandato. Ma qualcuno ha trovato il sistema per entrare nei codici usando una funzione di callback e ha guardato i suoi dati prima che fossero criptati e spediti via Internet e così ha visto che c'era la lista dei programmi che aveva installato.
In pratica possono sapere tutto?
Possono. Ma la questione è più complicata. Prima di tutto non abbiamo la lista completa delle spy features, potrebbero essercene di più. Ad ogni modo, le manette digitali le possiamo vedere. Il sistema non ti permette di fare un certo lavoro quindi è disegnato per non permetterti di farlo. L'hardware di quasi tutti i pc oggi è malevolo. I dati vengono mandati dal processore al monitor criptati. E, come succede nei moderni videoregistratori, è impossibile collegare un videoregistratore a un computer e registrare un film che stai guardando. Windows è colpevole perché decide per te. Poi in Windows ci sono due backdoor: una è stata disegnata per la polizia e i servizi segreti di quaranta paesi. Ma ce l'hanno anche i criminali. Grazie ad uno speciale programma è possibile realizzare una memoria Usb che quando viene inserita in una macchina Windows ne prende il controllo. Quindi è disegnata per ingannarti. Ad esempio ha anche una funzione per togliere la cifratura.
Che cosa usa lei? Come paga i conti?
Uso un piccolo portatile con free software. Niente tablet, grazie. Non pago con carte di credito. Non uso l'e-banking. Ovviamente la mia banca conosce le mie transazioni ma non uso mai Internet per questo. Poi non voglio che la banca sappia che cosa compro e quindi pago con i contanti. Se devo pagare una visita medica, so che c'è un sistema di sorveglianza praticamente orribile. Ma a parte qualche caso in cui non ho scelta, evito di pagare con qualsiasi sistema. Non sopporto lo spionaggio dello stato sui cittadini. Penso sia un attacco alla democrazia. Sono i governi che ci sorvegliano. Quello che è successo a Genova nel 2001 è una delle prove. Ma torniamo alle backdoor, voi giornalisti avete la cattiva abitudine di saltare da un argomento all'altro. Quando Windows ti chiede di fare un aggiornamento, la Microsoft può installare dei cambiamenti anche se tu dici di no. In pratica possono prendere il controllo totale della macchina. Ho tutte le prove. Una delle backdoor è gestita dal programma Cofee. Anche il Mac ha le manette digitali e gli iCosi (così Stallman chiama iPhone e iPad perché «sono dei mostri», ndr). Per sbloccare gli iCosi bisogna fare un jail break, un'evasione, perché gli iCosi sono progettati come delle prigioni. Quindi non li compro perché non voglio stare in galera. Apple per altro ha ammesso di avere delle backdoor che possono essere installate da remoto. Flash Player ha una funzione di sorveglianza che si chiama «super cookie» che traccia i siti e poi ci sono anche lì le manette digitali. Senza contare l'esempio di Amazon Kindle swindle (qui Stallman gioca con le parole perché swindle vuol dire truffa, ndr) progettato per togliere ai lettori la tradizionale libertà di lettura, cancellando da remoto i libri sul tuo computer.
Non pensa che i giovani, grazie anche all'utilizzo diffuso dei social network, siano meno consci del valore della libertà e della privacy, rispetto a generazioni precedenti?
È una domanda cretina. È come chiedere se gli italiani sono felici o no. Non accetto le generalizzazioni. E poi penso non sia vero. I giovani sono consci dei problemi sulla privacy. Questo non vuol dire che ne colgano i dettagli o sappiano come difendersi ma almeno ci pensano. Certo non ci pensano come ci penso io. Io dico che non uso queste cose. Punto.
È tra i promotori della campagna: Non mi trovi su Facebook (Fb). Perché?
È un sistema di sorveglianza. E io non voglio essere controllato. In pratica invitano la gente ad essere codarda e dire: lo so che mi spiano, ma non posso resistere. Invece di dire è male, non voglio toccarlo. Sostenere che chi non c'è vive fuori dal mondo, è una balla. Io non ci sono e riesco ad essere influente. L'unico inconveniente è la pressione sociale incredibile per convincerti ad usare Fb. Ma praticare lo sforzo di non essere sui social network ti rende più forte nel resistere alla pressione sociale in futuro. Ogni sistema di comunicazione che chiede alla gente il suo vero nome non è buono. Magari non lo pubblicano ma insistono per averlo e quindi anche il «Grande fratello» può averlo. Comunque non vanno neppure usati i multiservice della stessa compagnia perché abbinano le ricerche sul web con la tua mail, il tuo nome e quindi acquisiscono informazioni sensibili. Ci sono sistemi per usare Google senza essere spiati ma se ti connetti con un account gmail sanno chi sei. La società dovrebbe combattere tutti i servizi che chiedono il vero nome agli utenti. Quindi io non li uso. Mantenere la mia privacy è una causa importante e non ci rinuncio. Quanto a usare Fb per promuovere qualche buona iniziativa, questo promuove comunque Fb. La Free Software Foundation dice che se metti delle pagine su Fb che ci supportano siamo contenti ma noi non abbiamo nessuna pagina Fb e non ne incoraggiamo l'uso. Molto meglio mettere a disposizione parte dei tuoi dati sul tuo server per alcune persone che lo vogliono e che tu decidi. E con quel dispositivo comunicare. Fb presenta molti rischi: ad esempio possono licenziarti se hai una crisi depressiva o t'ammali.
Lei non usa neppure i cellulari…
Certo. Sono dei dispositivi di sorveglianza, in pratica trasmettono la posizione geografica e funzionano come registratori. Tramite un cellulare o un palmare possono fare quello che vogliono a tua insaputa. Le rivoluzioni tecnologiche possono essere un'opportunità per attaccare i nostri diritti. Per questo ho paura delle innovazioni tecnologiche: possono essere buone di per sé ma possono essere usate dalle compagnie che vogliono acquisire nuovi poteri su di noi e quindi progettano un nuovo dispositivo per attaccare i nostri diritti. Di recente volevo comprare una radio satellitare ma ci ho rinunciato dopo aver scoperto che avrei dovuto avere un account e pagare il servizio.
Ma qualcuno può dire: che diavolo se ne fanno con tutti questi dati…
Beh con un dissidente politico è chiaro che ne fanno. Dissidente politico e terrorista sono la stessa cosa. Quindi se organizzi una manifestazione e non vuoi che la sabotino o che facciano degli arresti di massa prima del corteo, è meglio che tu non tenga un cellulare nelle assemblee oppure togli la batteria. Adesso lo fanno anche i manager.
p.s. Alla fine della conferenza Stallman mi consegna il suo biglietto da visita, scritto come un annuncio personale: «Per condividere buoni libri, cibo sano, musica esotica e danza, teneri abbracci, insolito senso dello humour».
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