Home Attualità Esteri Il congresso dei comunisti cinesi: innovazioni e nuovi obiettivi, ma senza rotture
Il congresso dei comunisti cinesi: innovazioni e nuovi obiettivi, ma senza rotture

Il congresso dei comunisti cinesi: innovazioni e nuovi obiettivi, ma senza rotture

4
0

Il congresso dei comunisti cinesi: innovazioni e nuovi obiettivi, ma senza rotture
   



di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

 

 

Sono bastati i primi giorni del XVIII° congresso del Partito comunista cinese per spazzare via ogni tipo di indiscrezione – e interessata speranza – apparsa sui principali quotidiani occidentali (quelli di casa nostra hanno ripreso le indiscrezioni di seconda mano).

I tanti corvi – un fronte che unisce i più reazionari agli iper-rivoluzionari – che sorvolano la Sala del Popolo di Piazza Tienanmen, e che era pronti a proclamare la fine ideologica del PCC, sono subito dovuti tornare al loro proficuo lavoro di routine: le iperboliche esagerazioni sulla censura, il gossip sulla vita dei protagonisti e la trasposizione in salsa cinese di categorie politiche occidentali (liberisti vs pianificatori, liberal vs neomaoisti, destra vs sinistra, ecc…). Insomma, continueranno a spiegarci poco o nulla.

 

Per evitare di dare fiato a illazioni, fosche previsioni e indiscrezioni la cui speranza di vita è quella di un mattino, ci concentriamo su quanto delineato nel discorso di apertura dei lavori pronunciato da Hu Jintao, segretario del partito e Presidente della Repubblica popolare cinese. Questo perché, come da tradizione consolidata, costituisce, non solo il lascito politico-ideologico di una generazione che si appresta ad uscire di scena, ma anche una sorta di programma di governo per gli anni a venire.

Il lungo discorso ha portato interessanti novità, ma non ha segnalato alcuna rottura, almeno dalle parti per ora rese pubbliche. Anzi pare in piena continuità con quello pronunciato in occasione del 90° anniversario della nascita del Partito1. Anche in queste appuntamenti i discorsi non sono mai una semplice occasione celebrativa: in occasione dell'80° anniversario Jiang Zemin aveva dato ufficialità alla “Teoria delle Tre Rappresentanze” in base alla quale il Partito comunista cinese avrebbe rappresentato “le forze d'avanguardia della produzione, la cultura più avanzata e i più ampi interessi delle masse”.

 

Dal punto di vista ideologico, il socialismo con caratteristiche cinesi si arricchisce di un nuovo principio guida, che va ad aggiungersi al marxismo-leninismo, al pensiero di Mao Zedong, alla teoria di Deng Xiaoping e a quella della Triplice rappresentanza: il “concetto di sviluppo scientifico”2, già incluso nello statuto del Pcc dopo il XVII congresso del 2007 come indicazione d'azione di fronte ad uno sviluppo economico scoordinato e caratterizzato dall'eccessivo consumo delle risorse energetiche, dall'inquinamento e dal crescente divario tra ricchi e poveri. Si tratta del personale lascito di Hu Jintao che va ad arricchire il nucleo teorico del Partito e che per molto tempo sarà una guida per l'azione di governo.

L'inizio del congresso è stato anche l'occasione per meglio delinearlo: si tratta di una “strategia globale” per la costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi che collega lo sviluppo economico a quelli politico, sociale, culturale ed ecologico, tutto nel nome della sostenibilità. Per la prima volta, accanto ai ribaditi impegni per l'aumento dei redditi dei lavoratori, per lotta alla povertà ancora presente e al divario di ricchezza tra le regioni3, una posizione di grande rilievo viene data alla questione ecologica: “Dobbiamo continuare ad impegnarci per una politica statale di base per la conservazione delle risorse e la tutela dell'ambiente, per dare la massima priorità alla conservazione delle risorse, alla tutela dell'ambiente, alla promozione del risanamento ambientale, e lottare per uno sviluppo verde e per la circolazione con basse emissioni di carbonio”4.

 

Nei riferimenti ideologici e nello statuto resta, quindi, il “pensiero di Mao Zedong”, nonostante alla vigilia fosse stata ventilata l'ipotesi di una sua dismissione. Ma, anche in questo caso, occorre essere precisi perché il riferimento al Grande Timoniere va letto in base alle valutazioni e ai giudizi elaborati dal gruppo dirigente cinese a partire dal Plenum dell'XI Comitato centrale del Pcc del 1981 quando a Mao vennero riconosciuti “meriti essenziali” ed “errori secondari”. Il Mao che resta punto di riferimento della classe dirigente comunista, impegnata a mantenere la stabilità sociale e l'indipendenza della propria via di sviluppo, è quello che ha portato alla riunificazione del Paese e delle sue numerose etnie dopo la secolare parentesi di aggressioni coloniali e imperialiste, che ha compiuto un'ampia e profonda trasformazione sociale e messo in piedi un moderno sistema economico e industriale. Nessun processo di sommaria liquidazione, anzi5. Ci troviamo di fronte al Mao padre della patria e leader pragmatico – quello della massima degli anni '30 “cercare la verità nei fatti” ripresa poi da Deng Xiaoping – che ben si addice all'approccio ideologico dell'attuale dirigenza della Cina popolare. Il tempo del marxismo-leninismo e del maoismo, interpretati come dogmi e dell'accentramento del potere in una sola persona, è ormai alle spalle. Basta pensare alle continue sottolineature del futuro leader Xi Jinping sulla necessità di rafforzare il “metodo di studio marxista” e alle chiare parole pronunciate da Hu Jintao nel luglio del 2011: “I comunisti cinesi credono fermamente che la teoria fondamentale del marxismo deve arricchirsi e svilupparsi senza tregua via via che si approfondisce la pratica. Non consideriamo mai il marxismo come un dogma rigido, stereotipato e privo di senso. Per il marxismo la pratica è la fonte della sua teoria, la base del suo sviluppo e il criterio della sua verità”.

Nessuna sorpresa è poi venuta dalle prospettive di sviluppo della democrazia socialista. Anche qui nessuna svolta o tanto meno una rottura che mettesse in discussione il ruolo guida del Partito comunista. Chi si attendeva l'inizio di uno sviluppo “occidentale” di Pechino – e sperava magari di doversi confrontare con delle primarie cinesi – è rimasto un poco deluso. Se da un lato è riaffermata la necessità di proseguire sulla via della riforma del sistema politico per garantire una democrazia popolare più profonda e arricchire i mezzi di espressione dei cittadini, dall'altro Hu Jintao, pur sottolineando il riferimento alle importanti acquisizioni in materia delle altre civiltà, ha espressamente ribadito che “non copieremo mai meccanicamente il sistema politico occidentale”. Un pronunciamento rischioso in un'epoca che vede la meccanica esportazione della democrazia occidentale attraverso i bombardieri B2!

 

Ennesima conferma di una predisposizione genetica e totalitaria dei comunisti cinesi? Assolutamente no! In questo caso è ancora la storia della lunga rivoluzione cinese a parlare. Il nazionalista Sun Yat-sen – nel cui nome si punta alla riunificazione con Taiwan – nei cui scritti raccolti ne “I tre principi del popolo” si era impegnato a trovare una via cinese alla democrazia che non prendesse acriticamente a modello i Paesi occidentali (gli stessi che si spartivano zone di influenza e sparavano sui lavoratori cinesi in sciopero): “Se vogliamo che la Cina progredisca e il nostro popolo viva nella sicurezza, dobbiamo applicare noi stessi la democrazia e cercare un nuovo metodo per realizzare i nostri ideali”. E' possibile che nei prossimi anni sarà dato impulso alla consultazione con gli altri partiti patriottici presenti nella Conferenza consultiva politica, in linea con la natura di avanguardia di tutto il popolo e di tutte le forze produttive che ha assunto il Partito comunista.

Nel preambolo del Libro Bianco “Building of Political Democracy in China”, pubblicato nel 2005 dal governo della Repubblica popolare cinese, si possono leggere i riferimenti politici e programmatici, tutt'ora validi, della via cinese alla democrazia socialista:“La democrazia è il risultato dello sviluppo della civiltà politica del genere umano. Ed è anche il legittimo desiderio delle persone in tutto il mondo. La democrazia di una Paese è il risultato di uno sviluppo interno, non il frutto di imposizioni esterne. Nel corso della storia moderna, il popolo cinese ha condotto lotte incessanti e percorso difficili esplorazioni in vista della conquista dei diritti democratici. Ma solo sotto la guida del Partito comunista cinese è riuscito a conquistare il diritto di essere padrone dello Stato. Il popolo cinese è decisamente risoluto nel proteggere le sudate conquiste democratiche. Poiché le condizioni variano da un Paese all’altro, i percorsi scelti dai popoli dei diversi Paesi per la conquista e lo sviluppo della democrazia sono diversi”6.

 

Altro aspetto interessante emerso è quello relativo alle relazioni internazionali. La riconferma della scelta multilateralista e dell'obiettivo dell'”ascesa pacifica”, si accompagnano al deciso invito di fare della Cina “una potenza marittima” per salvaguardarne con risolutezza i diritti e gli interessi marittimi e alla volontà di proseguire sulla strada della modernizzazione dell'esercito7. A monte c'è la chiara sensazione di subire una politica di containment da parte degli Usa e che dietro le tante controversie sulla sovranità, tornate ad infiammarsi nell'ultimo anno, ci sia proprio la longa manus di Washington.

D'altronde basterebbe una lettura dell'ultimo libro di Edward N. Luttwak per rendersene conto. Quella dell'analista statunitense è una vera e propria chiamata alle armi – per ora geoeconomiche – contro la crescita cinese: “se la Federazione Russa e i suoi alleati dovessero aderire all'interruzione del commercio, unendosi agli Stati Uniti, al Giappone, all'Australia e a tutti gli altri partecipanti, la Cina si troverebbe circondata da una coalizione davvero troppo forte per essere sconfitta – una coalizione che non avrebbe bisogno di soldati, ma solo di funzionari della dogana per esercitare un'immediata e poderosa pressione sul governo di Pechino”8.

 

Forse anche in risposta a questa sfida, Hu Jintao ha sentito l'urgenza di affidare ai futuri dirigenti il compito di rafforzare anche il “soft power culturale” della Cina.

NOTE

 

1Per alcuni passaggi si legga “Il PCC, il marxismo e il socialismo”, http://www.marx21.it/internazionale/cina/1145-il-pcc-il-marxismo-ed-il-socialismo.html
2“Scientific Outlook on Development becomes CPC's theoretical guidance”, Quotidiano del Popolo online, 8 novembre 2012
3Gli obiettivi sono quelli di dare vita, entro il 2020, ad una società di media agiatezza e di raddoppiare il Pil e il reddito medio degli abitanti urbani e rurali.
4“Hu outlines "overall approach" for China's modernization drive, stresses scientific development”, Xinhua, edizione online, 8 novembre 2012
5Deng Xiaoping rivendicò, durante una intervista condotta da Oriana Fallaci nell'agosto del 1980, che il bilancio sull'opera di Mao era tutt'altro che una condanna: “Seguiremo sempre il pensiero di Mao Zedong, non faremo con il presidente Mao ciò che Krusciov ha fatto con Stalin”.
6Il testo completo, in lingua inglese, del libro bianco lo si trova all’indirizzo http://news.xinhuanet.com/english/2005-10/19/content_3645750.htm
7“Hu calls for efforts to build China into maritime power”, Xinhua, edizione online, 8 novembre 2012
8Luttwak E. N., “Il risveglio del drago”, Rizzoli, Milano, 2012, pag. 133.

http://www.marx21.it/comunisti-oggi/nel-mondo/7948-il-congresso-dei-comunisti-cinesi-innovazioni-e-nuovi-obiettivi-ma-senza-rotture.html

 

(4)

LEAVE YOUR COMMENT

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

Vai alla barra degli strumenti