Susanna Camusso riemerge dall’ombra in cui è finita da tempo la CGIL e tutto il sindacato concertativo italiano per assestare un duro colpo alla pratica dello sciopero generale.
Le argomentazioni che l’ineffabile segretaria della cgil utilizza per avviare la pratica di smantellamento di uno dei principali strumenti politici di lotta del movimento dei lavoratori lasciano allibiti.
Sostiene infatti che lo sciopero generale lascia fuori dalla lotta quei milioni di soggetti che non possono scioperare semplicemente perché un lavoro non lo hanno.
Lo sciopero generale è strumento di lotta politica che i lavoratori attuano in opposizione alle scelte dei governi quando queste assumono il carattere reazionario di attacco politico generale al mondo del lavoro. Molti scioperi generali prolungati sarebbe stato necessario indire proprio quando con una lucida determinazione i governi italiani, tutti, hanno destrutturato il mondo del lavoro attraverso l’ideologia della flessibilità, della fine del posto fisso, della creazione dell’esercito industriale di riserva, come si diceva un tempo, attraverso cui ricattare pesantemente il lavoratore stabile e sindacalizzato. E invece no, quando si è messa in moto quella macchina da guerra che ha macinato diritti e garanzie – non privilegi! – il sindacato concertativo ha preferito accompagnare i processi di riorganizzazione e ristrutturazione produttiva perché servivano ad entrare prima e a stare poi nell’Europa e nell’euro piuttosto che chiamare i lavoratori allo scontro.
Oggi che quelle scelte politico/ideologiche hanno prodotto l’inevitabile disastro che tutti noi possiamo constatare nella società italiana – disoccupazione altissima, povertà dilagante, nuove forme di schiavitù lavorative, licenziamenti, destrutturazione del sistema previdenziale e sanitario, ritorno della scuola censuaria ecc. – la Camusso tira fuori l’argomento della inefficacia dello sciopero generale.
Da tanto tempo, proprio perché abbiamo deciso di costruire il sindacato anche assieme ai soggetti sociali che oggi sono il prodotto della crisi e della trasformazione produttiva, gli scioperi proclamati dalla Usb chiamano alla mobilitazione e alla lotta anche i precari, i disoccupati, i senza casa, i richiedenti reddito, i migranti, gli studenti. Cioè generalizzano lo sciopero a quella parte di società che diventa sempre più ampia e che non incontra più il sindacato nei luoghi di lavoro o, se lo incontra, è talmente ricattata che difficilmente lo ritiene uno strumento utile alla propria difesa.
E gli scioperi riescono.
Riescono nelle fabbriche e negli uffici, riescono le manifestazioni attraverso cui si rappresentano e a cui partecipano in massa anche i soggetti sociali figli della frammentazione sociale e produttiva, come dimostrato dallo straordinario successo del 18 e 19 ottobre.
Evidentemente quindi la Camusso ha altri obbiettivi che la portano a sostenere l’inutilità dello sciopero generale. Il primo è che un sindacato che ha perso l’indipendenza dai governi e dai padroni non può chiamare allo sciopero generale che, per la sua natura prevalentemente politica, metterebbe in crisi il collateralismo che cgil, cisl e uil oggi esprimono. Il secondo è che chiamare i lavoratori alla lotta senza indicare l’obbiettivo che si vuole raggiungere, o indicando obbiettivi assolutamente lontani dalle reali esigenze della gente, come avvenuto nel ridicolo sciopericchio di quattro ore sulla legge di stabilità in cui neppure si poneva al centro la questione del salario e dello sblocco dei contratti, rischia di essere un boomerang per il sindacato stesso.
E allora è meglio non farli o al più riservarli per quando al governo non ci saranno più le forze politiche amiche (sic!) del movimento dei lavoratori.
Allora la domanda giusta non è se lo sciopero generale è ancora utile, ma se il sindacato concertativo e complice è ancora utile. La risposta è no.
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