A fine novembre si sono svolte le elezioni delle RSU all'ILVA di Taranto. Elezioni che abbiamo richiesto da oltre un anno e che si sono concluse con una straordinaria affermazione di USB che con un 21% dei voti e superando Fim e Fiom, è diventata la seconda organizzazione sindacale tra gli operai della più grande fabbrica italiana.
La Fiom, in forte crisi di rappresentanza e come Fim e Uilm preda di quella insopportabile contraddizione tra lavoro e proprietà dei Riva che ha investito l'intera comunità istituzionale, politica e sindacale tarantina e pugliese, condannando lavoratori e cittadini ad una condizione di estremo disagio e pericolo ormai da decenni, ha tentato la strada del ricorso alla magistratura per bloccare il rinnovo delle RSU dell'ILVA e rinviarlo ad un momento a lei più favorevole.
La sentenza del Giudice del Tribunale di Taranto, ha messo fine a questa assurda vicenda. La Fiom contestava la decisione di applicare alla procedura elettorale le regole interconfederali del 1993, cioè quelle utilizzate in tutte le elezioni aziendali negli ultimi decenni, per applicare invece le nuove regole dettate dall'Accordo del 31 Maggio 2013.
Il paradosso insito nella richiesta della Fiom alla magistratura era nel fatto che tra l'altro si affermava che le nuove regole (quelle del 31 maggio) erano più democratiche di quelle precedenti perché si eliminava il 33% dei delegati riservati ai firmatari di contratto nazionale.
Ed in effetti il nuovo accordo non prevede il 33% di riserva ai firmatari e senza di essa in Ilva come in tutte le altre realtà lavorative dove si svolgono o si sono svolte le elezioni delle RSU, USB avrebbe avuto un successo proporzionale ai voti ottenuti senza alcuna illecita sottrazione.
Ma non era questo l'obiettivo della Fiom all'Ilva. Infatti questa mezza verità, che evidenzia una discriminazione che noi di USB denunciamo da 20 anni, è però assolutamente cancellata da un accordo, quello del 31 Maggio del 2013, che è fortemente limitativo e discriminatorio nei confronti di chi non è firmatario dello stesso accordo.
In pratica se lo sono firmato Cgil, Cisl, Uil e Ugl e la misurazione della rappresentatività necessaria per discutere i contratti è riservata solo a loro.
La Fiom insieme a Fim, Uilm, Cgil, Cisl, Uil e Ugl per 20 anni si è spartita quel 33% infame e discriminatorio, ma per la sua ormai evidente difficoltà e crisi di rappresentanza in Ilva, come nel resto del paese, il sindacato di Landini oggi ha cercato di evitare le elezioni attraverso il ricorso alla magistratura.
E allora non ci stupisce il ravvicinamento tra Landini e la Camusso con il quale condivide il documento di maggioranza del prossimo congresso Cgil e tra Landini e il rampante Matteo Renzi: in politica tutto ha un senso, ma ormai troppo spesso è un senso contrario agli interessi dei lavoratori. Chissà che ne penserebbe Di Vittorio di queste strane convergenze….e chissà che cosa ne pensano gli iscritti ed i militanti della Fiom.
Ma ritornando alla sentenza del giudice di Taranto che mette fine alla messa in scena della Fiom, essa ci dice anche un'altra cosa importante e cioè che l'Accordo del 31 maggio 2013 ha “natura puramente programmatica” e non è quindi un accordo applicabile in quanto tale.
Un ulteriore colpo all'accordo tra Confindustria e “sindacati collaborativi” che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale in merito alla rappresentanza sindacale, conferma quanto diciamo da anni: è necessaria una legge che riporti la democrazia nei posti di lavoro, che sia trasparente e non comprenda alcuna discriminazione, che non preveda alcun 33% riservato ai firmatari di contratto e che parli dei diritti dei lavoratori e non di quelli dei sindacati, che lasci a ogni singolo individuo la libertà di scegliere da chi essere rappresentato.
Su questo obiettivo minimo si misura la democraticità di un sindacato, su questo continuiamo a chiedere l'intervento della politica e del parlamento e soprattutto il consenso delle lavoratrici e dei lavoratori.
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