Alitalia di nuovo a terra e ulteriori 2.500 esuberi annunciati, taglio di aeromobili, di linee e di attività.
Questo è il risultato di decenni di macroscopici errori manageriali, malagestione e malaffare sulla pelle dei lavoratori, sotto governi di centrodestra e centrosinistra, all'ombra di amministratori delegati di “presunte” provate capacità o manifestamente incapaci, sotto il controllo pubblico o in mano ai privati.
Tutto nasce dalla liberalizzazione risalente a 30 anni fa e dalla decisione a livello europeo di far sopravvivere nel vecchio continente soltanto tre grandi vettori: l'Alitalia non era tra questi.
Negli anni successivi tra le compagnie aeree europee si sono così succedute una crisi dopo l'altra, chiusure di aziende, privatizzazioni, acquisizioni, nascita e rapida morte di piccole società, poi riassorbite dalle “grandi” dopo aver rapinato mercato alle compagnie nazionali in difficoltà e ridotto all'osso il costo del lavoro.
Tante di queste piccole compagnie si svilupparono e si trasformarono in quelle che comunemente vengono chiamate low-cost. Rapidamente completarono la distruzione delle condizioni del lavoro, occuparono sempre più mercato utilizzando un sistema dove le regole diventavano sempre meno e sempre più disattese: un processo favorito e voluto dall'Unione Europea in linea con l'obiettivo ormai dichiarato di far sopravvivere soltanto alcuni vettori, proprio come accadeva in altri settori produttivi trainanti.
Addirittura in alcuni Paesi, primo fra tutti l'Italia, le low-cost sfruttano anche sovvenzioni che arrivano da società che gestiscono gli aeroporti e che sono quasi sempre in mano pubblica.
Si raggiunge così il paradosso per il quale quell'Europa che favorisce lo sviluppo delle tre grandi compagnie (tedesca, francese e inglese), nega o concede con il contagocce aiuti statali o meglio investimenti pubblici alle altre compagnie determinandone il ridimensionamento, la vendita o la chiusura e al tempo stesso chiude tutti e due gli occhi sullo sviluppo insano delle low-cost, drogate da una finanza sempre più “creativa” e da aiuti statali indiretti.
E' in questo scenario che si consumano le crisi continue di Alitalia. L'assoluta mancanza di volontà politica di trovare soluzioni strutturali, l'asservimento alle decisioni dell'Unione europea ed una gestione che spesso ha rasentato o superato l'illegalità, ha prodotto l'attuale risultato che vede una Compagnia aerea che era tra le prime al mondo diventare un cumulo di macerie.
In questi anni, insieme alla difesa delle condizioni di lavoro, abbiamo inascoltati prospettato politiche industriali diverse, contrastati da “grandi” manager e “grandi” esperti che non sapevano neanche come e perché vola un aereo.
Sostenevamo che l'Alitalia doveva opporsi alla decisione europea di ridurla a “compagnia minore” perché ciò avrebbe significato la morte economica della compagnia ed enormi problemi occupazionali in tutto l'indotto del trasporto aereo.
Sostenevamo che il controllo dello Stato sarebbe dovuto essere alla base di qualsiasi piano industriale perché il trasporto aereo è un settore strategico per il paese.
Sostenevamo che lo Stato italiano, come ha fatto quello francese, avrebbe dovuto contrastare le low-cost invece di sovvenzionarle a discapito di Alitalia.
Sostenevamo che i trasporti, nel loro complesso, avrebbero dovuto “fare sistema” e non darsi battaglia.
Sostenevamo che proprio per occupare mercato “ricco” e produttivo in presenza delle low-cost, avremmo dovuto espandere i voli intercontinentali e di lungo raggio dove le piccole compagnie low-cost non creano concorrenza.
Sostenevamo che le alleanze internazionali si sarebbero dovute cercare non con Compagnie aeree a noi vicine (europee) e non complementari, ma in altri continenti (Stati Uniti, Medio o Estremo Oriente) e spesso abbiamo fatto riferimento diretto alle compagnie del Golfo. Questa nostra convinzione (da molti avversata e spesso derisa) deriva da un'analisi che anche un “non esperto” può fare e avrebbe dovuto fare. Se ci si allea con Air France, un competitore che fa parte proprio di quelle tre compagnie che l'Unione Europea ha deciso di sviluppare a danno delle altre, si fa un buon servizio al paese, alla società e ai lavoratori o si creano le condizioni per farsi fagocitare? E se Air France ha un aeroporto intercontinentale a Parigi e una flotta di lungo raggio enormemente superiore alla nostra, non è logico che essa operi per rastrellare traffico e passeggeri da tutti gli aeroporti italiani per portarli poi da Parigi in tutto il mondo, relegando Alitalia a portatore d'acqua ed a competere, in modo inefficace e sicuramente perdente con le low-cost che operano all'interno del continente europeo?
Questo è parte di ciò che Etihad ha chiesto ad Alitalia e al Governo italiano!
Ma lo ha chiesto con l'aggiunta di altri 2.500 esuberi in una situazione occupazionale generale disastrosa per il paese e con un trasporto aereo che pur aumentando traffico e passeggeri anno dopo anno, ha quasi il 30% dei lavoratori in cassa integrazione, in mobilità o già licenziati.
Allora è tempo che il governo provi a fare qualche cosa di serio, se è in grado di farlo. La trattativa non può certo concludersi all'interno del rapporto tra le due compagnie o tra la società e il sindacato.
Ma soprattutto i lavoratori non possono rimanere a guardare senza reagire. USB ha dichiarato che la vertenza deve chiudersi con “ESUBERI ZERO”. Nessuno deve rimanere senza lavoro e anzi, deve riprendersi positivamente anche la partita dei “vecchi” esodati che tra un anno si troveranno senza lavoro e senza pensione.
Se è vero che questa alleanza produrrà in tempi medi uno sviluppo più che significativo e che tale aumento di attività sarà in gran parte partecipato da Alitalia, allora si deve tener conto che il lavoro ha già pagato un prezzo enorme, che l'occupazione viene prima di tutto.
Se questa alleanza produrrà sviluppo e occupazione allora anche i lavoratori potranno considerarsi soddisfatti e lo stato dovrà comunque esercitare un controllo diretto, visto che Etihad è di fatto un vettore statale. Al contrario siamo convinti che, come per grandi aziende strategiche, come per l'ILVA, sia il caso di richiedere un intervento diretto dello stato, sino alla nazionalizzazione.
Se la dirigenza Alitalia ed il Governo non sono su questa lunghezza d'onda, allora è bene che i lavoratori lo facciano capire con determinazione e senza perdere tempo.
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