SICUREZZA SUL LAVORO
Convegno dell'Ordine dei Chimici
di Anna Maria Bruni
Quando ci fu la strage della Thyssen Krupp, ricordata il 6 dicembre scorso a sette anni dalla tragica morte di 7 lavoratori, il procuratore capo di Torino Raffaele Guariniello, che per primo nella storia dei processi per le morti sul lavoro, a chiusura delle indagini, portò gli imputati a processo per “omicidio volontario con dolo eventuale”, parlò della necessità di costituire una procura nazionale.
Un’idea spinta sicuramente dall’urgenza di quella che in Italia è una tragedia quotidiana, ma anche dalla necessità di costituire una squadra in grado di lavorare in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, portando così alla ribalta tanti casi, per trattarli tutti con gli stessi criteri, e con la medesima attenzione.
Il merito del convegno “Da Aprilia ad Adria, il rischio chimico nelle aziende rifiuti” che l’ordine interregionale dei chimici ha promosso quest’anno, tenutosi a Palazzo Chigi il 5 dicembre sta qui, nella volontà di far intervenire tutte le professionalità coinvolte nel tema della sicurezza, per mettere a confronto conquiste e limiti in ogni settore e mettere a fuoco le falle di un sistema, ovunque si rilevino, per poter intervenire.
Falle che per l’ordine cominciano, come già libera.tv ha avuto modo di rilevare in una precedente intervista al presidente Fabrizio Martinelli, dal fatto esiziale che nella maggior parte dei casi la valutazione del rischio in azienda non è affidata a un chimico. Non solo, ma neanche la formazione, inversamente proporzionale al rilevamento della nocività delle sostanze chimiche usate in ambienti di lavoro, e che per molte aziende, tra cui quelle che trattano rifiuti, riguardano in eguale misura l’ambiente circostante.
Elemento su cui la politica sembra andare in direzione opposta, se dopo l’approvazione del TU 81/08, come ha rilevato Renato Presilla, chimico ricercatore a Perugia, sottolineando come lo Stato debba tornare ad occuparsi “del bene della collettività incentivando lo studio, la formazione e l’occupazione a favore delle tutele dell’ambiente e della sicurezza sul lavoro”, il legislatore ha normato gli elementi, ma “non la figura scientifica che deve operare su questi”.
Un dato su cui pesa inoltre “l’aporia” sottolineata da Alessio Scarcella, consigliere della Corte di Cassazione, contenuta nell’articolo 73 del Codice di procedura penale, secondo il quale il giudice nomina il consulente “di regola” nell’ambito degli albi offerti dalla professioni, ma non obbligatoriamente nel settore pubblico. Se è vero che la valutazione dell’obiettività del consulente è determinante per la scelta, è altrettanto vero che questa rimane discrezionale. E se “il vero problema serio che investe il nostro processo è quello della formazione della prova”, sempre citando Scarsella, gli elementi di discrezionalità non aiutano.
Tanto più se a questi aggiungiamo le semplificazioni rilevate da Antonio Porpora, diritto del lavoro alla Sapienza di Roma, che allargano le maglie attraverso le quali è possibile trovare scappatoie, determinando incidenti mortali che si ripetono in serie perché si ripetono le stesse mancanze. E quando anche le sentenze arrivano alla verità dei fatti, come nel caso di Molfetta citato dal professore, il punto è che manca una legislazione attraverso la quale sia possibile prevenire gli incidenti, tutelando all’origine salute e sicurezza.
Questo è il punto di caduta, se come ha ricordato Cinzia Frascheri (intervento nell’audio sotto l’articolo), responsabile nazionale salute e sicurezza sul lavoro per la Cisl, la Commissione Europea a ottobre ha varato il programma Refit che blocca l’approvazione di ulteriori direttive in materia di lavoro e in particolare di salute e sicurezza, per favorire il mercato del lavoro e la ripresa. Come ricorda la Frascheri, le direttive e i regolamenti sono gli unici strumenti vincolanti, e non a caso l’Italia è sotto procedura d’infrazione proprio per aver approvato decreti sulla valutazione del rischio in contrasto con due direttive. Questo significa, sempre per citare la responsabile Cisl, portare “la competitività al massimo ribasso”, determinante per una gestione esiziale della sicurezza e quindi degli incidenti, al quale si aggiunge l’aggravante degli articoli 5 e 6 del Jobs act appena approvato, che prevendono la delega al governo su salute e sicurezza per “razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti anche mediante norme di carattere interpretativo”.
Il senatore Buemi, sottolineando che “quello che il legislatore produce è frutto del lavoro tecnico che c’è alle spalle, spesso esso stesso non all’altezza” ha invitato “elettori, dottori, giornalisti, magistrati, ad un contributo di chiarezza perché il legislatore possa evitare la genericità della norma”.
Ma il quadro della giornata lascia emergere l’elemento chiave del sottotitolo del convegno, ovvero che “la professionalità di tutti gli attori” è un elemento determinante ma non sufficiente, se a chiudere il cerchio non interviene una politica capace di ridare priorità alla salute e alla sicurezza delle persone che lavorano, oltre che all’ambiente, piuttosto che farle diventare una variabile dipendente del mercato.
Ascolta l'intervento della responsabile CISL per la Sicurezza
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