RICOSTRUIRE IL PARTITO COMUNISTA
Intervento di Cesare Procaccini (segr. PCdI)
Registrazione dell'Assemblea a Cura di Labaro Tv
L'APPELLO
1 – Siamo compagne e compagni di diverse generazioni che hanno preso parte, con differenti appartenenze di partito o senza partito, alla storia sempre più critica e travagliata del movimento comunista in Italia dell’ultimo trentennio.
Nell’attuale contesto frammentato della sinistra italiana, siamo a tutt’oggi variamente collocati; ma condividiamo, sul che fare, due convinzioni fondamentali:
Di fronte alla crisi strutturale e sistemica del capitalismo, la più profonda dopo quella del 1929, che ha dimensioni mondiali e gravi ripercussioni anche nel nostro Paese; e a fronte dell’involuzione neo-centrista del Partito Democratico, che sta portando l’Italia verso il modello americano e sta distruggendo le fondamenta della Costituzione repubblicana e antifascista, è ancora più urgente dare corpo ad una presenza unitaria della sinistra: che aggreghi tutte le sue componenti (comunista, anti-capitalista, socialista e anti-liberista e i soggetti anticapitalisti presenti anche in modo rilevante nella società italiana, benché non organizzati) su un programma minimo condiviso; e ricostruisca una rappresentanza politica del mondo del lavoro e delle classi subalterne, schiacciate dall’offensiva di classe scatenata da oltre due decenni dal capitale, nazionale e sovranazionale.
E’ indispensabile che all’interno di una sinistra così aggregata, nella forma di un fronte ampio strutturato e operante in modo unitario, si ricostruisca e si consolidi una presenza comunista autonoma, che si proponga la sua riorganizzazione in partito, che sappia unire in questo processo tutte le forze comuniste con una cultura politica affine, che in vario modo si richiamano, attualizzandolo, al miglior patrimonio politico e ideologico dell’esperienza storica del PCI, della sinistra di classe italiana e del movimento comunista internazionale e alla migliore tradizione marxista, a partire dal contributo di Lenin e Gramsci. Con una chiara collocazione internazionalista e antimperialista; consapevole che, a fronte di un imperialismo che mira a scardinare la sovranità nazionale di molti paesi per piegarne la resistenza, la difesa di tale sovranità assume nella nostra epoca un grande rilievo ed è precondizione per l’affermazione del protagonismo dei popoli.
A ventitrè anni dalla fine del Pci e stante l’attuale insufficienza delle esperienze che in modo diverso si sono richiamate a quella grande storia, nasce l’esigenza di ripartire con l’obiettivo della costruzione di un partito comunista che ne riprenda le migliori caratteristiche, ricollocandole nelle attuali condizioni italiane e internazionali.
Sappiamo che si tratterà di un processo graduale e di non breve periodo (ma che va iniziato ORA), che metta capo a un’unica forza comunista rigenerata, capace di superare l’attuale frammentazione e, con essa, una sempre più evidente irrilevanza politica e sociale.
Una forza politica comunista unificata, non settaria né subalterna all’opportunismo delle mode correnti, che si ponga in un rapporto di dialogo costruttivo (ma da un punto di vista autonomo) nell’ambito della sinistra d’alternativa: senza cessioni di sovranità sulle questioni di fondo, ma capace di trovare volta a volta la sintesi strutturata e non occasionale dell’unità d’azione.
2 – Il superamento della soglia di sbarramento ottenuto di misura dalla lista Tsipras nelle recenti elezioni europee – quale che sia il giudizio che si vuol dare su questa esperienza elettorale e sulle divisioni profonde emerse prima e dopo il voto – dimostra quantomeno che nonostante i forti limiti soggettivi delle forze in campo esiste uno spazio anche politico-elettorale, militante e d’opinione, a sinistra del Pd renziano. Ed esiste anche uno spazio oggettivo per una sua espansione, in direzioni diverse:
– nei confronti di vastissimi settori popolari che sempre più approdano all’astensionismo come forma di protesta anti-sistemica;
– nei confronti di una parte dell’elettorato popolare, operaio e di sinistra del Pd, non certo entusiasta di una leadership liquidazionista della stessa identità socialdemocratica; ma che si rivela (comprensibilmente) poco attratto dalle diverse alternative a sinistra del Pd;
– nei confronti di quella parte di popolo di sinistra (a volte di estrema sinistra) che vota 5Stelle, attratto dal voto “arrabbiato” e di protesta, anch’esso deluso dall’assenza di grandi alternative credibili a sinistra.
Anche il voto di gran parte dei Paesi europei dimostra che esiste e può espandersi anche in tempi brevi uno spazio sociale e politico durevole, con basi di massa, per un consenso ai comunisti e alle forze della sinistra anticapitalistica: ed è solo per gravi responsabilità soggettive di tutti i gruppi dirigenti che tale spazio in Italia – in questi ultimi trent’anni che ci separano dalla morte di Berlinguer – non è stato costruito.
In tale contesto regressivo, le gravi contraddizioni in cui si è avvolta la lista Tsipras, prima e dopo il voto, mostrano che la strada per un’aggregazione della sinistra di classe è lunga e tortuosa. E che essa richiede non improvvisate alchimie elettoralistiche, ma la costruzione di fondamenta solide nel mondo del lavoro e nel conflitto di classe nonché un pensiero forte verificato nel tempo: è questo il solo terreno su cui possono crescere gruppi dirigenti uniti e solidali, tenuti insieme non da occasionali e contingenti convenienze politiciste.
Su tali basi va costruito un credibile processo unitario che includa la sinistra partitica, sindacale, associativa, di movimento, anche nella competizione elettorale: la quale deve tornare ad essere – se si vuol conseguire un consenso non effimero – un momento unitario del percorso politico, non il suo presupposto o il suo punto d’arrivo.
3 – Entro tale processo – in modo inseparabile da esso, e nel quadro di una fase che, a sinistra, appare caratterizzata da un alto tasso di mobilità politica – riteniamo fondamentale il lavoro di ricostruzione in Italia di un partito comunista degno di questo nome: di una forza organizzata non settaria, attenta agli sviluppi della dinamica politica, legata organicamente al mondo del lavoro e non opportunista, che si ponga in grado di orientare e condizionare da un punto di vista di classe il processo di aggregazione della sinistra.
Siamo consapevoli dei limiti pesanti che hanno caratterizzato l’esperienza di questi ultimi venti anni, in particolare dell’insuccesso e delle debolezze originarie di una “rifondazione comunista” pur intrapresa con passione e dedizione all’indomani della liquidazione del PCI.
La crescente frammentazione e il moltiplicarsi delle divisioni hanno dissipato un patrimonio militante, con un incredibile turn-over che ha complessivamente interessato qualcosa come un mezzo milione di iscritti e dilapidato un’influenza elettorale che aveva raggiunto nella seconda metà degli anni Novanta i 3 milioni e 200 mila voti e che era proiettata verso il 10%. A riprova di quanto sia facile dissipare in pochi anni un grande patrimonio elettorale, quando esso non riposi su solide fondamenta.
Oggi abbiamo cognizione delle cause principali (nonché degli errori dei gruppi dirigenti) che sono state alla base di questo insuccesso: a cominciare da una debolezza ideologica e un eclettismo delle provenienze, che hanno impedito una sintesi graduale, il formarsi di una cultura politica comune, capace di tenere unito il partito anche nei momenti di forte dibattito politico interno, come avviene invece nella più parte degli altri partiti comunisti al mondo.
A ciò si è sommata, come concausa dell’insuccesso, la delusione progressivamente indotta dalla partecipazione dei comunisti al governo del Paese, che non ha conseguito alcun risultato sostanziale a favore dei nostri soggetti sociali di riferimento. Il tutto in un contesto sociale caratterizzato da profondi mutamenti sul piano strutturale, dell’articolazione sociale e delle culture politiche, che i comunisti non sempre hanno dimostrato di saper cogliere nella loro portata. Una delusione accentuata da forme di carrierismo politico, da lotte interne e dalla formazione di ceti politici separati dalla più genuina militanza di base, che hanno seminato sfiducia e distorto la gestione interna delle stesse organizzazioni comuniste, la sua trasparenza, il suo costume, la sua moralità.
C’è dunque la necessità di una rilegittimazione dei comunisti, compito tanto più urgente in quanto la crisi sistemica in cui siamo a tutt’oggi immersi continua a colpire in primo luogo lavoratrici e lavoratori, privi di una rappresentanza anticapitalistica adeguata.
4 – Oggi siamo in grado di avviare una seria riflessione su tali limiti (ed è l’unico modo per cercare di salvare e rigenerare ciò che di buono rimane delle suddette esperienze): da ciò dipende la possibilità di non ripetere gli errori del passato e di rilanciare nelle forme possibili il processo di ricomposizione unitaria di decine di migliaia di militanti comuniste e comunisti, di partito e senza partito, di soggetti sociali, attivi nelle vertenze del lavoro e del territorio e nelle iniziative di movimento. Da ciò dipende la ricostruzione di un partito comunista che superi – rigenerandole – le attuali residuali collocazioni; e che sappia essere complementare, dunque non alternativo e men che meno contrapposto, alla ricostruzione di una sinistra unitaria di classe e del lavoro. Queste due gambe della ricostruzione sono diverse, ma inseparabili.
Non è quindi per nostalgia o per astratto ideologismo che sosteniamo la necessità di ricostituire un riferimento organizzato e unificato dei comunisti. Sappiamo di doverci misurare con la sedimentazione ideologica che l’egemonia capitalistica ha depositato sulla sconfitta del movimento operaio: disarticolando il mondo del lavoro, generando la disgregazione etica e morale della società. Da questo ha tratto linfa la cosiddetta antipolitica.
Sui comunisti grava quindi una grande responsabilità nella promozione di un’analisi all’altezza delle innovazioni del capitalismo e nell’esplicitazione di proposte per il suo superamento; nell’individuazione della nuova composizione di classe e delle forme organizzative efficaci per far fronte alle nuove contraddizioni.
Ed in particolare ai comunisti, organizzati in partito, è ancora affidato il compito di portare nello scontro sociale e nella dialettica politica una visione generale delle contraddizioni dello sviluppo capitalistico, nonché una percezione matura delle dinamiche internazionali e della prospettiva mondiale.
Si tratta di elementi di coscienza generale che non si formano spontaneamente e che semplicemente si appannerebbero o addirittura verrebbero meno senza la presenza di una forza comunista organizzata.
Sappiamo bene che quel che abbiamo davanti a noi non è compito di un giorno, che occorre pazienza e lungimiranza, al di là di ogni dannoso patriottismo di gruppo ed autoreferenziale.
Per questo riteniamo che la costituzione di un’Associazione, promossa da militanti di buona volontà e senza retropensieri di corto respiro – comuniste e comunisti – che abbia come preminente obiettivo, strategico e di lunga lena, la ricostituzione in Italia di un partito comunista degno di questo nome, possa essere in questa peculiare temperie storica lo strumento giusto: uno strumento aperto a chiunque si ritenga ancora parte dell’impresa comunista, che non chiami in causa in modo improvvisato le rispettive attuali collocazioni (dentro o fuori gli attuali partiti) ma che sin d’ora operi per una ricomposizione. Con intelligenza, senza veti o abiure e nel contesto largo dei processi unitari a sinistra.
Comunisti uniti, per la ricostruzione del partito comunista, in una sinistra di classe e del lavoro, unita e unitaria.
Saranno i fatti e gli sviluppi concreti della situazione politica italiana e mondiale a definire, fin dai prossimi mesi, modi e tempi dell’avanzamento e/o della precipitazione di tale processo. Di esso, noi intendiamo essere parte attiva.
(1704)