di Anna Maria Bruni
Ottante piazze a Roma per due giorni di iniziative contro le mafie. Questo il successo di “Spiazziamoli”, lanciata da Libera e da tante realtà territoriali. Ognuna con la sua specificità, ma tutte con lo scopo di tenere acceso un faro sulla gestione opaca del territorio, possibile solo perché sottratta alla partecipazione attiva dei cittadini e alla certezza delle regole. Esattamente ciò che spalanca le porte alla criminalità organizzata.
Ma non basta più parlare di mafia come fenomeno criminale, né di legalità come soluzione, perché la radice della mafia è il clientelismo, il favore, il privilegio, tutto ciò che prospera nell’affermazione della competitività e della privatizzazione del bene comune. Un vaso di Pandora che tutte le iniziative hanno scoperchiato, tornando a dire che il punto è avviare una economia pubblica in tutti i settori, dal patrimonio all’acqua alla scuola ai servizi, fatta di trasparenza, partecipazione e controllo dei cittadini che con quei servizi vivono e che di quel patrimonio possono fare un riutilizzo sociale, di nuovo lavoro, di cultura, di welfare.
Per questo la connessione fra le esperienze diventa fondamentale, come l’assemblea che si è svolta all’ex lavanderia testimonia. Un momento nel quale il percorso di Libera, quello di DeLiberiamo Roma o quello dell’architettura partecipata si sono raccontati scoprendo una volta di più come ognuno con il proprio impegno e le proprie competenze può arricchire un percorso comune che cambi il volto di questa città ricostruendone la ricchezza, che è prima di tutto quella di riconoscersi come Comunità.
E questo è quello che è avvenuto in tutte le piazze di Roma in questa due giorni. Un punto di partenza nel percorso con Libera e una tappa nei percorsi già lunghi di tutti, un lavoro incessante che contamina sempre più cittadini stanchi di vedersi sottrarre diritti elementari per poi leggere grandi titoli sulle pagine dei giornali, destinati a smorzarsi rapidamente mentre le soluzioni offerte continuano a chiamarsi privatizzazioni.
Questa è in effetti la ricetta che il sindaco Marino offre come panacea che ci porterà fuori da Mafia Capitale. Esattamente quella che ha prodotto la malattia, prima di tutto perché sorda alle richieste di una città: all’emergenza abitativa mentre il patrimonio dismesso viene consegnato a chi realizza centri commerciali o quello confiscato resta inutilizzato, ai distacchi dell’acqua di chi non riesce neanche più a pagare le utenze mentre Acea diventa un gigante predatore di un bene primario a beneficio dei suoi azionisti.
Una logica speculativa in grado di prosperare in modo direttamente proporzionale alla mancanza di etica, e piegando a suo uso e consumo l’amministrazione locale. Strozzata dalla stessa logica del mercato a cui deve sottostare, incline al compromesso, quando non corrotta.
Un esempio è proprio il Municipio XIV dove ha sede il S. Maria della Pietà per cui l’associazione sta conducendo una battaglia decennale perché il complesso sia destinato ad uso pubblico, sociale e culturale. Un Municipio che è arrivato già a una trentina di arresti tra tecnici e amministratori nell’ambito dell’inchiesta su Mafia Capitale, mentre la gestione dell’ex Manicomio, di proprietà della Regione Lazio come tutti i complessi sanitari, rimane nelle mani dell’Asl RME che opera come un’azienda privata, tanto da aver incassato milioni di euro di affitto dallo stesso Municipio per le sedi dei suoi uffici.
Pratiche ormai diffuse ovunque, e di cui abbiamo notizie quotidiane, che prosperano nella frantumazione sociale, dove è impossibile riconoscere un Paese come Comunità. E’ una cultura che va rifondata, questa è la conclusione e il punto di partenza di questa due giorni, tornando ad usare quotidianamente un vocabolario fatto di parole come bene comune, rispetto, responsabilità, solidarietà, condivisione.
Per tutte le iniziative: www.spiazziamoli.it
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