Quindici giorni fa era partita all’attacco Confindustria con il suo Presidente che, dopo aver elencato tutti i benefici ottenuti da Renzi, accusava CIGL CISL UIL di miopia per i ritardi nel mandare al macero il vecchio contratto nazionale e puntare invece sulla contrattazione aziendale/territoriale, paventando un intervento diretto del governo che a suo dire ha lo scopo di eliminare i corpi intermedi, confindustria compresa.
Ed ecco farsi avanti, con una prontezza degna di miglior causa, la CISL con una sua proposta di riforma dei modelli contrattuali e con l’obiettivo di chiudere la partita entro settembre, prima quindi che si entri nel vivo del rinnovo di molti contratti tra cui metalmeccanici, pubblico impiego e chimici.
Il sindacato della Furlan vuole puntare tutto sul contratto aziendale/territoriale che avrà competenza sulla parte più consistente del salario, legata alla produttività e ai premi di risultato – su cui applicare consistenti percentuali di decontribuzione e detrazioni – con un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali comunali e regionali. A livello aziendale anche la trattativa su flessibilità e orari di lavoro.
Al contratto nazionale, già in parte svuotato dalle deroghe imposte dal 2011 ad oggi, resterebbe la determinazione dei minimi salariali – la CISL teme come sempre l’intervento legislativo del governo in materia di salario minimo – la difesa del potere d’acquisto legato all’inflazione dell’Eurozona, e dulcis in fundo la previdenza complementare.
Un piano che si colloca perfettamente nella linea tracciata dall’Unione Europea , imposta solo pochi giorni fa alla Grecia, ma che per quanto riguarda noi trova la sua genesi nella famosa lettera inviata nell’agosto del 2011 dall’allora presidente della BCE , Trichet , e da Draghi, a quel tempo Governatore della Banca d’Italia, ma rinnovata nell’autunno scorso da Bruxelles, in occasione dell’esame della legge di stabilità 2015, che ha condizionato l’approvazione dell’UE all’attuazione delle riforme annunciate da Renzi e prontamente attuate con il jobs act.
D’altro canto l’accelerazione proposta dalla CISL trova una sua rispondenza con i problemi di Confindustria, che vede alcuni dei suoi affiliati più importanti uscire dall’Associazione, Marchionne docet, ma anche molti degli associati non rispondere alle sue direttive come nel caso dell’attuazione della parte del testo unico relativo al conteggio delle deleghe sindacali.
Renzi e Confindustria in difficoltà? La CISL prontamente accorre in aiuto, nel solco dei dettati e dei trattati europei. Inutile cercare voci dissenzienti nelle altre due organizzazioni, CGIL e UIL, solo deboli inezie.
Si completa così il disegno padronale di frammentazione dei lavoratori, solo chi sta nelle aziende competitive, nelle così dette eccellenze, in grado di fronteggiare i mercati internazionali, potrà aspirare a qualcosa che assomigli ad un salario quasi normale. Ma non erano l’unità, la compattezza, la solidarietà, gli obiettivi comuni i principi fondanti del movimento di classe, che hanno consentito alla società italiana i progressi in ogni campo?
Il fatto è che tutti e tre da anni hanno accettato di accantonare il ruolo di difensori degli interessi di classe dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari, dei disoccupati, dei pensionati. Nessuna mobilitazione all’atto dell’approvazione del Jobs Act che già contiene le linee guida per attuare quanto proposto dalla CISL, nessuna vera opposizione al dilagare del precariato e della disoccupazione contrapposto all’accumularsi della ricchezza in settori sempre più ristretti, nessun contrasto alle multinazionali che hanno eletto il nostro paese a teatro delle loro scorribande.
La Grecia è stato l’esempio più evidente di dove può arrivare l’arroganza ed il potere dell’Unione Europea. Prima ci convinciamo della necessità della sua rottura e prima saremo in grado di metter in campo strumenti a tutela dei lavoratori e dei settori più deboli della nostra società.
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