ASSEMBLEA DEI LAVORATORI CALL-CENTER A ROMA
Mentre il patronato chiede la totale adattabilità dell’orario di lavoro ai flussi della produzione, i lavoratori si mobilitano autonomamente e lanciano l’appello per una azione unitaria nel settore delle telecomunicazioni
Interviste a cura di Alfredo Comito LiberaRete – Libera.tv
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Nonostante le aziende del settore Telecomunicazioni registrino fatturati in crescita, il livello di occupazione e i salari dei lavoratori dei call center hanno una tendenza contraria.
Un settore che dieci anni fa dava lavoro a circa 300mila persone, oggi ne occupa poco più di 80mila e l’emorragia non sembra cessare. Dalle delocalizzazioni in Albania, Tunisia, Croazia, Romania di molte commesse legate soprattutto alla telefonia, i recenti casi di Almaviva e Convergys i cui lavoratori si oppongono al trasferimento imposto loro dall’azienda (in Calabria i lavoratori siciliani, e in Sardegna quelli lombardi), definiscono la condizione degli operatori del call-center simile ai pacchi che possono essere spediti con posta semplice o raccomandata ovunque si desideri. Eppure non si parla di manager con alti stipendi e auto aziendale coi sedili in pelle, ma di lavoratori che guadagnano tra i 600 e i 1500 euro al mese, e che in Italia si occupano per lo più di servizi di assistenza all’utenza nel campo pubblico e privato. Il contratto del settore Telecomunicazioni siglato da CGIL-CISL-UIL, scaduto da oltre un anno, aveva introdotto la decurtazione delle maggiorazioni sugli straordinari per i part-time (penalizzando così la maggior parte degli operatori) e la disponibilità per le aziende di una percentuale dei Permessi retribuiti dei lavoratori per accogliere le richieste di adattare sempre più gli orari di lavoro al flusso del traffico da gestire, ma già nei primi incontri tra le parti per il rinnovo del CCNL il patronato ha chiesto una totale flessibilità rispetto alle esigenze della produzione. Insomma, un operatore sa quando entra nel call-center, ma non quando ne uscirà. I lavoratori della TIM-TELECOM hanno intrapreso delle iniziative autonome in tutta Italia per bloccare questa deriva e per riproporre il protagonismo dei lavoratori. A Roma, diversi lavoratori di diversi call-center si sono trovati nella sede di un sindacato di base (CUB) per confrontarsi su questi temi e per costruire una mobilitazione unitaria nel settore prima che ciò che resta dell’occupazione e dei diritti sia solo un ricordo statistico.
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