QUATTRO OPERAI MORTI A MILANO NELLA AZIENDA LAMINA S.p.A.
Presidio di solidarietà di alcuni lavoratori e militanti davanti ai cancelli dell’azienda per denunziare i mille morti all’anno in Italia sul lavoro. Due operai della LAMINA chiedono loro di andarsene.
Interviste a cura di Alfredo Comito LiberaRete – Libera.tv
Oltre 900 morti sul lavoro nel 2017 e il conto non si arresta nel 2018. Il 16 gennaio hanno perso la vita Giancarlo, Arrigo, Giuseppe e Marco, quattro operai che lavoravano presso la LAMINA S.p.A. a Milano. Un difetto nel funzionamento del forno, il capo squadra e l’elettricista scendono nel sotterraneo saturo di gas per verificare e svengono, due colleghi si precipitano per aiutarli e trovano la morte. Questa è la notizia, tragica, che riguarda le famiglie dei quattro operai, la sicurezza nei luoghi di lavoro, e l’azienda, ora sotto sequestro per accertare le responsabilità in un procedimento aperto per omicidio plurimo colposo. Ma dentro questa triste notizia ve n’è un’altra, che riguarda ciò che una volta era chiamata classe o coscienza di classe. Il 17 sera, alcuni operai e militanti hanno tenuto un presidio davanti ai cancelli della fabbrica in nome della solidarietà fra i lavoratori. Hanno posto dei fiori, qualche lume, uno striscione ai cancelli e qualcuno ha parlato e denunziato il sistema economico quale principale responsabile dei morti per via del risparmio sulla sicurezza e per colpa del dio profitto. Sotto la luce dei lampioni, nella via deserta, i pochi militanti e lavoratori hanno provato così ad onorare la memoria degli operai morti per un difetto nei sistemi di sicurezza, ancora da accertare. Poco dopo, però, due operai della Lamina hanno raggiunto il presidio e chiesto di scioglierlo, di andare via, accusando i presenti di fare politica davanti ai morti. “I padroni li hanno i cani” ripete uno di loro. “Noi abbiamo un titolare”.
Si avverte indignazione nelle parole dell’operaio della Lamina, che vive come invadenza la presenza di quel presidio che pare speculare sulla morte dei suoi colleghi parlando di “padroni” e di “capitalismo”. Ma si riconosce altresì, l’imbarazzo e la sorpresa dei lavoratori del presidio che tutto si aspettavano fuorché essere scacciati via dalle “vittime” della tragedia.
Il dolore delle famiglie e dei colleghi degli operai morti è un dolore privato, un dolore che non si riconosce più in un campo sociale, quello della “classe lavoratrice” che piange i suoi morti e denunzia le responsabilità del patronato.
A qualche chilometro da Via Rho, dove risiede la Lamina S.p.A, sta il quartiere Lambrate, e a nord est si trova Sesto San Giovanni, la città chiamata la Stalingrado d’Italia. Fabbriche e operai, migliaia di operai, che riempivano enormi capannoni e invadevano le strade al suono delle sirene. Vita e lavoro erano politica e la politica era vita e lavoro.
Anche oggi la nostra vita è fatta di politica che lo si voglia o no. Polis dicevano i greci, la città, la comunità, insomma la nostra stessa esistenza, ciò che ci coinvolge anche se ce ne disinteressiamo. Ma il senso comune oggi non è più quello di 30 anni fa’. La politica non ha più ideali di società da proporre, risulta distante dalla gente come un reality show. La sola parola fa nausea, sa di falso. I più grandi sindacati hanno smesso da tempo di squillare le trombe e si percepiscono come burocrati. I lavoratori sono soli, i più giovani quasi tutti precari, e nelle piccole realtà come la LAMINA, ci si può sentire come “una famiglia”, quasi protetti da un mondo intorno in cui non esiste più alcuna verità.
E allora una decina di operai e militanti che si recano davanti ai cancelli per testimoniare solidarietà di “classe” incontrano una classe che non li riconosce. Una storia dei nostri tempi, tempi di vuoti e di crisi, tempi di trasformazione e proprio per questo, tempi di caos. Di certo, ahinoi, rimane una costante. I morti sul lavoro, percentuale fissa negli anni, la più alta d’Europa, una strage silente.
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