GIORNATA DI LOTTA CONTRO LO SFRUTTAMENTO
Riparte a Milano il 1 Maggio dei precari e delle forze antagoniste. Dietro i fattorini e le maestre tutto il sindacalismo di base
Interviste a cura di Alfredo Comito LiberaRete – Libera.tv
MILANO – I dati sul lavoro possono essere letti da diverse prospettive. Se si vuole raccontare la storia di un Paese che è uscito dalla crisi con la crescita del PIL e l’assunzione di centinaia di migliaia di lavoratori, allora basta accontentarsi del segno più anche dopo la virgola e non distinguere tra contratti precari e a tempo indeterminato, né ricordarsi della Riforma Fornero sull’art. 18. Insomma, se fuori piove e il cielo è grigio, basta coprire la finestra con uno schermo ad altissima definizione e proiettare uno splendido panorama assolato. Se si vuole conoscere la realtà, invece, basta scendere in strada in giornate come questa, dove migliaia di maestre gridano la loro rabbia contro una sentenza che le priva del diritto di insegnare e lavorare nelle scuole dopo 10 o 15 anni di precariato al servizio della istruzione pubblica. Il buon senso suggerisce di stabilizzarle e coprire i vuoti che la scuola pubblica lamenta da anni, ma la politica tace. Tace da prima delle elezioni e dei successivi “forni” dai quali non è uscita nessuna pagnotta. Oltre il 30% di disoccupazione giovanile, 11% quella nazionale, poco più di 50.000 assunzioni a tempo indeterminato contro le oltre 350.000 a termine fra le tante tipologie create dai governi di centro-sinistra e centro-destra. A chiamata, voucher, job sharing, somministrato, collaborazione e, infine, le agenzie che prestano i lavoratori e che lucrano sulla vendita della mano d’opera come facevano e fanno tuttora i “caporali” nelle campagne. Certo, la legislazione ha fornito un inquadramento legale, ha concepito una fattispecie formalmente diversa e legittima, ma la logica, la semplice logica di un osservatore, ci racconta un’altra storia. Un po’ come lo scandalo del totonero nel calcio del 1982 e le scommesse legali di oggi. L’Italia è cambiata, già, ma non sempre ciò che cambia, cambia in meglio. Venti anni di riforme sul lavoro hanno impoverito l’intera classe dei lavoratori ormai privi di diritti, con rinnovi contrattuali al ribasso e condannati a lavorare sino a 70 anni per una pensione da fame. Di sicuro, il buon Fantozzi, nonostante il mega-direttore coi sedili in pelle umana, se la passava meglio. Sanità gratuita, scuola gratuita, scatti di anzianità e pensione retributiva anziché contributiva come tocca a noi.
Ma a Milano, come altrove in Italia, c’è voglia di cambiamento, di gridare i propri diritti e riprendersi ciò che si è perso. Una volontà che parte dai collettivi, dai lavoratori organizzati, dalle militanze politiche e sindacali antagoniste, che si ritrovano in un corteo unitario alternativo a quello dei sindacati confederali CGIL, CISL e UIL. In testa si trovano i fattorini che, con le casacche di diverse società, consegnano il cibo correndo in bicicletta senza un inquadramento contrattuale, pagati a consegna, privi di assicurazione generale e di malattia pagata. La nuova frontiera della gig economy, l’economia degli algoritmi e della rete, la stessa che sta impoverendo la distribuzione con conseguente perdita di occupazione. Alti profitti e basse imposte, milioni di transazioni sulla rete, mentre la finanza degli Stati sta ancora ai registratori di cassa.
Il corteo scorre lungo il centro della città per toccare Via Padova, simbolo della periferia e delle emarginazioni, il luogo dove manifestare contro la guerra tra poveri, tra italiani e immigrati, tra giovani e pensionati. “Siamo tutti uguali, siamo tutti sfruttati” ci dice un lavoratore della logistica. Turni notturni, lavoro pesante, e migliaia di lavoratori italiani e stranieri che sono prestati alle grandi aziende dalle cooperative che spesso cambiano ragione sociale ad ogni scadenza di appalto per tenere precari e a basso salario i loro assunti.
La verità che emerge dai dati e dalla strada è diversa dai palcoscenici degli spot politici. Ci dice che oggi i lavoratori sono merce a basso costo per un mondo a due velocità. Quella dei ricchi che, come dice Briatore “portano la ricchezza”, viaggiano sulla classe “Executive” e mal sopportano la visione de “l’hotel Mariuccia”, e quella dei poveri che oggi sono i lavoratori subordinati nel loro complesso. A loro sono riservati gli outlet, i discount, le compagnie low cost e, se ci riescono, la classe “standard” sui treni ad alta velocità.
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