Marilyn’blues, un inno alla vita contro l’indifferenza
Il monologo scritto e interpretato da Annamaria Bruni torna in scena lunedi prossimo, 21 maggio a Sarzana, Teatro degli Impavidi, per la rassegna SMASCHERA diretta da Toni Garbini.
Intervista a cura di Iacopo Venier – direttore di Libera.tv
Dopo il successo ottenuto al Teatro Ygramul di Roma stai per portare di nuovo in scena questo spettacolo. Nonostante hai precisato che questo è il 1° Studio, ci è sembrato effettivamente un lavoro che ha una sua completezza. C’è qualcosa che invece intendi sviluppare?
E’ vero, ha una sua completezza, non si tratta quindi tanto di questo, quanto del fatto che essendo un testo con un linguaggio poetico, molto musicale, ho proposto a un amico pianista jazz di lavorarci insieme. Questo anche perché il jazz è un tema che “Marilyn’” attraversa, toccando questioni cruciali dell’epoca in cui è vissuta. Per quel che riguarda eventuali sviluppi invece ci sono elementi del testo che mi girano in testa e che sento il bisogno di sviluppare.
Quali per esempio?
Primo fra tutti lo stupro, e non solo quello realmente avvenuto, ma anche la violenza, seppure psicologica, perpetrata incessantemente da major e media, a cui fa da riscontro la libertà di essere e abbigliarsi come meglio si crede, senza che questo significhi “essere disponibili”, “essere consenzienti”. Un giudizio di cui la nostra cultura è intrisa, e che se per una certa fase il movimento femminista ha inibito, non è stato ancora cancellato. E sta tornando prepotentemente in auge, tant’è che anche i processi, ultimo quello di Firenze per lo stupro delle due studentesse americane da parte di due carabinieri, è costellato di domande orrende, per le quali sono sembrate sotto processo le due ragazze. Ricorda molto il “Processo per stupro” del 1979. E questo è tutto dire.
Ma direi che il testo lo affronta…
Si certo, ma qui mi premeva dare un quadro generale della vita e dell’epoca in cui Marilyn è vissuta, facendone emergere un profilo completamente diverso rispetto all’immagine patinata che siamo abituati a conoscere. E non perché sia disdicevole, anzi! (ride) piuttosto perché si è voluto relegarla ad un’immagine, mentre lei è stato molto di più. Lo stesso candore così “salutare”, come lo definisce Arthur Miller nella sua autobiografia, è spesso motivo di sottovalutazione di una persona e delle sue capacità, e la sua generosità è ignorata. Un altro tema che mi piacerebbe approfondire, proprio per questi motivi.
A proposito di innocenza, l’ultima parte del tuo spettacolo, quell’inno alla vita di cui tu parli nelle note di regia, delinea immagini che rimandano ai migranti. E’ una scelta?
Sì, perché oggi sono gli ultimi degli ultimi, e sulle loro vite e sui loro corpi si giocano partite di potere e strumentalizzazioni intollerabili. Marilyn si specchia in queste immagini, e nel momento in cui ci dà gli elementi per capire perché ha potuto essere uccisa, noi capiamo che non parla solo di sé, non è più questo il punto. Il punto è come il potere tratta l’essere umano, e come massacra la vita. E questo diventa per lei quasi un appello, un’esortazione, perché torniamo a comprendere che prendere la vita nelle nostre mani è l’unica strada.
L’unico modo per fare la Storia, dice…
Sì certo, quella in cui l’essere umano torna ad ascoltare la sua necessità di esprimersi pienamente, anche attraverso l’attenzione, la cura l’uno per l’altro, perché è questo a renderci invincibili. E lo dico attraverso una sua poesia, quasi un haiku. E una battuta de “Gli Spostati”.
Elementi tutti attuali e urgenti, sai già dove lo porterai dopo Sarzana?
Non ancora, ci sono in ballo diverse opportunità, vedremo. Per ora, mi godo questa, accanto ad altri spettacoli perfettamente in tono con il nome della rassegna, e del teatro. Mi sembrano ottimi auspici per continuare a lavorare in questa direzione.
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