L’infinita stagione dei condoni
Non potevano essere più intempestive le dichiarazioni rese qualche giorno fa, durante una lunga intervista, dal Ministro Padoan circa la possibilità di riaprire ancora i termini della voluntary disclosure, ovvero di quel condono, coperto con un inglesismo, che concede a chi ha illegalmente esportato capitali all’estero sconti sulle sanzioni ed annullamento delle conseguenze penali.
Dopo la vicenda del cd Panama Papers che ha reso palese la centralità del ruolo dell’evasione fiscale nell’organizzazione dell’economia globalizzata, e dopo gli ennesimi scandali che hanno manifestato la sudditanza anche di questo governo alle lobby economiche (corruzione ed evasione fiscale sono da sempre due facce della stessa medaglia) un pò di prudenza sarebbe stata quanto meno auspicabile.
Ma un governo che chiama riforme vere e proprie aggressioni ai diritti e che spaccia per modernità il ritorno a condizioni di lavoro ottocentesche, non può suonare una musica diversa sul versante fiscale.
Da tempo mandato in soffitta il principio di progressività dell’imposta, le politiche fiscali si muovono allegramente tra condoni infiniti e provvedimenti ad hoc per banche e grandi gruppi industriali.
Il mantra ripetuto in maniera ossessiva e stucchevole si chiama tax compliance cioè adesione spontanea agli obblighi tributari: dietro la retorica, in realtà, nella delega fiscale e nel “Cambiaverso” sono state introdotte misure che hanno depenalizzato tutto ciò che non si poteva e doveva depenalizzare ed allargato le maglie della legge nelle quali si inseriscono, poi, i fenomeni evasivi ed elusivi.
I super ricchi che evadono le tasse non sono quindi poche mele marce, ma utilizzano appieno un clima e un sistema costruito ad arte per incentivare i fenomeni evasivi.
Il risultato è che i bilanci essiccati dalle minori entrate erariali vengono ripianati esasperando la tassazione nazionale e locale nei confronti dei redditi da lavoro dipendente e dei pensionati, congelando le retribuzioni e contraendo i servizi pubblici e i sistemi di protezione sociale.
Le leggi di stabilità susseguitesi in questi decenni e il DEF recentemente presentato dal governo, obbediscono proprio a questa logica.
C’è poi l’altra faccia della medaglia, non meno importante.
Trasformare l’Agenzia delle Entrate da soggetto preposto al controllo in ente di consulenza delle grandi imprese, per usare le parole pronunciate sempre dal Ministro Padoan solo qualche mese fa, significa minare alle fondamenta la funzione sociale del Fisco che dovrebbe essere orientata a contrastare la piaga dell’evasione per reperire quelle risorse necessarie a finanziare i servizi pubblici e che, invece, diviene l’ennesimo strumento per acuire le diseguaglianze sociali.
Rimettere al centro del dibattito politico il valore sociale del lavoro e rilanciare il welfare e i servizi pubblici anche attraverso una lotta senza quartiere all’evasione e alla corruzione è l’obbiettivo della petizione avviata dall’USB “Voglio lavoro e Stato sociale” indirizzata al Presidente della Repubblica e al Parlamento.
Una piattaforma utile e necessaria per sostenere tutte le mobilitazioni e le lotte contro la mercificazione dei nostri diritti.
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